Fili rossi

Stefano era un ragazzo abbastanza comune. Passava la maggior parte del suo tempo libero a disegnare e leggere fumetti, e quando poteva usciva con i suoi amici, amici che purtroppo ha dovuto abbandonare quando si è dovuto trasferire.
Il trasloco è avvenuto durante le vacanze estive, cosa che ha portato Stefano a dover svolgere l’ultimo anno delle scuole medie in una nuova scuola.
L’idea ovviamente non lo emozionava molto. Le sue vecchie amicizie erano andate perse, e non era sicuro che si sarebbe fatto dei nuovi amici nella nuova scuola, però durante l’estate ha cercato di pensarci il meno possibile così da godersi le vacanze serenamente.
Una volta iniziata la scuola e introdotto nella sua nuova classe, Stefano si è trovato mediamente a suo agio. I ragazzi erano simpatici e amichevoli, però ha avuto difficoltà a inserirsi in gruppi d’amici già formati, cosa che lo ha portato a starsene un po’ per le sue i primi giorni.
Le vacanze estive erano finite da poco e il caldo ancora non era passato, quindi ai bambini della scuola frequentata da Stefano era permesso di rimanere in giardino un po’ più a lungo del previsto dopo la pausa pranzo, e mentre gli altri giocavano ad acchiapparella, nascondino oppure con una palla, lui preferiva mettersi comodo su una delle panchine del giardino della scuola a leggere uno dei suoi fumetti.
Uno di quei giorni però le cose sono andate diversamente dal solito.
Stefano stava leggendo, ma un gruppo di bambini di una classe differente ha deciso di andare a sedersi proprio nella panchina a fianco alla sua, iniziando a fare molto chiasso.
Infastidito dal rumore Stefano si è alzato e si è messo alla ricerca di un posto migliore in cui leggere, e dal momento che tutte le panchine del giardino erano vicine tra di loro non ha avuto scelta se non quella di allontanarsi dal centro del giardino per cercare un luogo più calmo ai margini.
Camminando non si aspettava di fare quel particolare incontro però, anche perché in tutta la sua vita non aveva mai realmente assistito ad un atto di palese violenza.
Il bullismo era una cosa che Stefano non conosceva davvero. Ne aveva sentito parlare molto sia nei film che nei cartoni animati, ma fortunatamente per lui non aveva mai vissuto eventi simili, né li aveva mai visti; fino a quel momento la sua vita scolastica era stata tranquilla e pacifica, esattamente come le scuole che aveva frequentato.
Ma quel giorno, in un angolo quasi del tutto nascosto del giardino, Stefano ha visto un bambino essere preso a calci da altri due.
La vittima era a terra rannicchiata su sé stessa, uno dei bulli lo prendeva a calci in modo quasi ritmico e regolare mentre l’altro si limitava a osservare la scena con le mani dentro alle tasche e un piede appoggiato sopra al corpo della vittima per tenerla ferma.
Stefano è rimasto fermo a osservare quei bambini per qualche secondo; quella scena lo ha colto così all’improvviso che il suo cervello ci ha messo diversi attimi a comprendere che stava assistendo ad un pestaggio anziché ad uno strano gioco tra bambini, ma non appena ci è arrivato il suo primo istinto è stato quello di scattare in loro direzione per fermare l’aggressione.
<<Ehi!>> ha urlato correndo <<Fermatevi!>>
I due bulli lo hanno ascoltato e si sono entrambi voltati a guardarlo; uno di loro aveva un volto inespressivo ma dotato di uno sguardo molto curioso, l’altro invece aveva la faccia di uno che si stava divertendo molto nel prendere a calci la sua vittima.
Stefano si è fermato ad alcuni passi da loro; lo slancio iniziale ha presto lasciato spazio a un bel po’ di confusione e insicurezza dal momento che il bambino non sapeva bene il come procedere da quel momento in poi.
Lui non era al massimo della sua forma fisica all’epoca, anzi era decisamente sovrappeso, ma in quel momento la sua stazza andava a suo favore dato che era più alto e grosso di tutti i presenti; ad aiutare è stato anche il fatto che i due aggressori non sembravano avere più di dieci o undici anni, quindi erano minuti e più bassi di lui.
Per quanto giovani e piccoli però, erano tutt’altro che innocui.
Il bambino che stava dando i calci aveva dei corti capelli rossi e due vividi occhi grigi; lui era quello più spaventoso poiché godeva di una costituzione snella ma molto robusta.
Il bambino con il piede appoggiato sulla vittima aveva i capelli scuri e due curiosi occhi castani; era poco più magro dell’altro, ma comunque molto atletico.
Stefano è rimasto fermo e in silenzio a guardarli per un po’, e si è subito reso conto che c’era qualcosa di inusuale in loro perché ogni volta che concentrava lo sguardo su di uno, gli occhi dell’altro sembravano cambiare colore e diventare rossi.
Dopo qualche attimo la situazione era diventata piuttosto … strana. Stefano era da solo davanti a due persone che non conosceva e che lo stavano fissando con delle espressioni difficili da decifrare … persone che fino a poco fa stavano prendendo a calci un bambino che era ancora lì a terra, sotto il piede di uno di loro.
Nessuno parlava o si muoveva, neanche la vittima, e nell’aria Stefano stava iniziando a sentire uno strano ma estremamente piacevole odore.
Dopo diversi secondi di silenzio, uno di loro si è deciso ad aprire bocca.
<<Quindi?>> ha domandato il bambino che stava sferrando i calci <<Vuoi dirci qualcosa o sei qui solo per guardarci?>>
Quella domanda ha riscosso Stefano dal suo momentaneo blocco mentale, che esitante e nervoso ha iniziato a parlare.
<<I … io … ehm … che … c-che state facendo?>>
<<Stiamo giocando.>> è stata la risposta dello stesso bambino che aveva parlato prima; il suo tono era calmo e contenuto.
<<G … giocando?>>
<<Sì. Perché lo chiedi?>>
Stefano ha a quel punto abbassato lo sguardo sul bambino che stava venendo picchiato; aveva le mani intorno alla testa quindi non riusciva a vederlo in faccia.
<<A … a me non … non sembra.>> ha continuato Stefano, cercando di farsi coraggio; essere più grande e alto di loro lo stava aiutando molto in questo <<S-se non la smettete chiamo i professori. Capito?>> ha aggiunto, cercando di assumere un tono più minaccioso e autorevole.
<<I professori?>> è intervenuto il bambino dai capelli neri <<E perché?>>
<<P-perché state … lo state picchiando!>> ha risposto Stefano <<E non dovete!>>
<<E perché no?>>
<<P-perché gli fate male!>>
<<E quindi? Stiamo solo giocando. E a lui piace.>>
<<Cos-? No che non gli piace! A nessuno piace farsi male!>>
<<Sì. A lui piace.>> il bambino che teneva il piede sopra la vittima lo ha tolto, si è chinato su di essa e prendendola di peso per il retro del collo l’ha sollevata da terra senza alcun visibile sforzo.
La vittima, minuta e gracile se confrontata con i suoi aggressori, si è limitata a fare qualche verso addolorato ma non si è ribellata più di tanto alla presa e si è lasciata sollevare fino a quando il suo volto è arrivato all’altezza di quello di Stefano.
<<Digli che stiamo giocando e che ti piace.>> ha ordinato il bambino che la stava sollevando, quindi la vittima ha incrociato lo sguardo di Stefano e ha obbedito agli ordini.
Nei suoi occhi Stefano ci ha visto sofferenza e vergogna però, quindi il ragazzo ha subito scosso la testa con vigore <<N-non è vero!>> ha esclamato <<L-lo dice solo perché ha paura! Lascialo andare!>>
Il bambino che teneva sollevato l’altro ascolta le parole di Stefano e lascia la presa, facendo cadere la vittima sulle sue ginocchia.
<<Contento ora?>>
<<Sì. E … e ora andatevene!>>
In seguito a quelle parole il bambino dai capelli rossi è avanzato e si è messo proprio davanti a Stefano guardandolo dritto negli occhi.
<<E se non andiamo via che succede?>> ha chiesto; aveva uno sguardo di sfida per metà curioso e per metà calmo.
<<Se non andate via …>> Stefano ha esitato un attimo, però si è fatto coraggio nel ricordarsi che per quanto atletico e muscoloso quel bambino potesse sembrare rimaneva comunque più basso piccolo e minuto di lui <<lo dirò ai professori. E finirete in punizione. Capito?>>
<<Va bene. E se invece vai via tu?>>
<<No.>> ha detto Stefano con decisione.
<<Che significa “no”?>>
<<Che non me ne vado.>>
<<Uh, va bene. Ma io non voglio andare via quindi devi andare via tu.>>
<<No!>>
<<Va bene. Ti do cinque secondi per cambiare idea, poi ti farò male.>>
Stefano è rimasto leggermente scosso da quella risposta, ma non ha ceduto ed è rimasto fermo sul posto con l’intenzione di accettare la sfida del ragazzo dato che le sue parole non sembravano seriamente minacciose … ma si sbagliava.
Dopo cinque secondi il bambino lo ha colpito con un improvviso e rapido movimento del braccio, e i riflessi del ragazzo non sono stati minimamente in grado di rispondere all’aggressione.
Il bambino gli ha infilato con una violenza inaspettata un gomito dritto nella sua pancia, all’altezza del plesso solare; l’impatto è stato così preciso e potente che Stefano si è ritrovato privo di aria nell’arco di pochi brevissimi istanti; non ha neanche avuto la possibilità di urlare mentre il dolore è esploso con un’intensità mai sentita prima.
Il ragazzo si è letteralmente piegato su sé stesso, e nell’infinita attesa che il dolore si abbassasse si è lasciato cadere a terra, mettendosi in posizione fetale con le braccia strette intorno alla pancia e gli occhi in lacrime.
Non sa bene quanto tempo sia passato in quella posizione, ma dopo un po’ la vista gli è tornata e con essa l’abilità di respirare; mettendo a fuoco ciò che aveva intorno ha notato di essere a terra, e davanti a lui c’erano le scarpe del bambino che lo aveva colpito.
Stefano stava ancora tremando per il dolore quando il bambino si è accovacciato davanti a lui e ha portato il suo pugno chiuso davanti al suo volto, a pochi centimetri dalla sua bocca; con sguardo compiaciuto il piccolo bullo ha detto: <<Bacia.>>
Stefano ha lanciato uno sguardo perplesso al bambino; non stava capendo il motivo dietro alla sua richiesta, ma ancora non aveva le forze per dirglielo.
<<Bacia.>> ha ripetuto quello, battendo con leggerezza le nocche sulla bocca del ragazzo <<Baciami il pugno, dai. E ti lascio andare via.>>
Stefano però si è rifiutato di assecondarlo ed è rimasto in silenzio a guardarlo negli occhi.
Dopo alcuni secondi di vana attesa il bambino si è spazientito e si è messo sopra la testa del ragazzo, con il sedere pesantemente appoggiato sulla sua bocca; da quella posizione il bambino ha prima neutralizzato le braccia del ragazzo sfruttando i suoi arti, dopodiché ha iniziato a colpire lo stomaco di Stefano, che era rimasto esposto e senza protezione.
Il ragazzo non riusciva ad urlare perché il bambino aveva un peso sorprendemente elevato per la sua età, sembrava pesare quanto un armadio ed era praticamente irremovibile da lì sopra, e questo ha portato ad un doloroso risultato: la pancia di Stefano è stata tartassata di pugni, pugni dati in rapida successione e con sempre maggiore forza e pesantezza.
Dopo un periodo di tempo che è sembrato interminabile il bambino ha interrotto i colpi e si è alzato; sotto di lui c’era uno Stefano praticamente moribondo che avrebbe già vomitato da tempo se ne avesse avuto l’occasione. Malgrado ciò il bambino ha di nuovo avvicinato il suo pugno alla bocca di Stefano.
<<Bacia.>> gli ha nuovamente detto, ma non ha ricevuto risposta, neanche uno sguardo questa volta <<Ehi … mi senti?>>
<<Non credo ti senta.>> è intervenuto l’altro.
<<Sì che mi sente. Non è svenuto.>>
<<Lo so, ma dobbiamo andare, tra poco suona la campanella.>>
<<Uffa … perché dura così poco la pausa?>>
Stefano non ha seguito la loro intera discussione, così come non ha neanche provato a vedere la direzione che avevano preso una volta che se ne erano andati, era troppo impegnato a cercare di abituarsi al dolore causato dal pestaggio.
Quando la campanella è suonata, lui è rimasto lì a terra. È stato trovato da una bidella che l‘ha subito accompagnato in infermeria, dove ha raccontato l’accaduto ad alcuni professori.
Non è tornato in classe quel giorno, i genitori sono andati a prenderlo per portarlo a casa in anticipo.
Il ragazzo non è riuscito a mangiare nulla fino alla sera successiva, ed ha sofferto di un forte mal di pancia per più di una settimana.

[La storia continua, ma per leggerla devi chiedere a questo profilo qui.]

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