Stefano era un ragazzo abbastanza comune. Passava la maggior parte del suo tempo libero a disegnare e leggere fumetti, e quando poteva usciva con i suoi amici, amici che purtroppo ha dovuto abbandonare quando si è dovuto trasferire.
Il trasloco è avvenuto durante le vacanze estive, cosa che ha portato Stefano a dover svolgere l’ultimo anno delle scuole medie in una nuova scuola.
L’idea ovviamente non lo emozionava molto. Le sue vecchie amicizie erano andate perse, e non era sicuro che si sarebbe fatto dei nuovi amici nella nuova scuola, però durante l’estate ha cercato di pensarci il meno possibile così da godersi le vacanze serenamente.
Una volta iniziata la scuola e introdotto nella sua nuova classe, Stefano si è trovato mediamente a suo agio. I ragazzi erano simpatici e amichevoli, però ha avuto difficoltà a inserirsi in gruppi d’amici già formati, cosa che lo ha portato a starsene un po’ per le sue i primi giorni.
Le vacanze estive erano finite da poco e il caldo ancora non era passato, quindi ai bambini della scuola frequentata da Stefano era permesso di rimanere in giardino un po’ più a lungo del previsto dopo la pausa pranzo, e mentre gli altri giocavano ad acchiapparella, nascondino oppure con una palla, lui preferiva mettersi comodo su una delle panchine del giardino della scuola a leggere uno dei suoi fumetti.
Uno di quei giorni però le cose sono andate diversamente dal solito.
Stefano stava leggendo, ma un gruppo di bambini di una classe differente ha deciso di andare a sedersi proprio nella panchina a fianco alla sua, iniziando a fare molto chiasso.
Infastidito dal rumore Stefano si è alzato e si è messo alla ricerca di un posto migliore in cui leggere, e dal momento che tutte le panchine del giardino erano vicine tra di loro non ha avuto scelta se non quella di allontanarsi dal centro del giardino per cercare un luogo più calmo ai margini.
Camminando non si aspettava di fare quel particolare incontro però, anche perché in tutta la sua vita non aveva mai realmente assistito ad un atto di palese violenza.
Il bullismo era una cosa che Stefano non conosceva davvero. Ne aveva sentito parlare molto sia nei film che nei cartoni animati, ma fortunatamente per lui non aveva mai vissuto eventi simili, né li aveva mai visti; fino a quel momento la sua vita scolastica era stata tranquilla e pacifica, esattamente come le scuole che aveva frequentato.
Ma quel giorno, in un angolo quasi del tutto nascosto del giardino, Stefano ha visto un bambino essere preso a calci da altri due.
La vittima era a terra rannicchiata su sé stessa, uno dei bulli lo prendeva a calci in modo quasi ritmico e regolare mentre l’altro si limitava a osservare la scena con le mani dentro alle tasche e un piede appoggiato sopra al corpo della vittima per tenerla ferma.
Stefano è rimasto fermo a osservare quei bambini per qualche secondo; quella scena lo ha colto così all’improvviso che il suo cervello ci ha messo diversi attimi a comprendere che stava assistendo ad un pestaggio anziché ad uno strano gioco tra bambini, ma non appena ci è arrivato il suo primo istinto è stato quello di scattare in loro direzione per fermare l’aggressione.
<<Ehi!>> ha urlato correndo <<Fermatevi!>>
I due bulli lo hanno ascoltato e si sono entrambi voltati a guardarlo; uno di loro aveva un volto inespressivo ma dotato di uno sguardo molto curioso, l’altro invece aveva la faccia di uno che si stava divertendo molto nel prendere a calci la sua vittima.
Stefano si è fermato ad alcuni passi da loro; lo slancio iniziale ha presto lasciato spazio a un bel po’ di confusione e insicurezza dal momento che il bambino non sapeva bene il come procedere da quel momento in poi.
Lui non era al massimo della sua forma fisica all’epoca, anzi era decisamente sovrappeso, ma in quel momento la sua stazza andava a suo favore dato che era più alto e grosso di tutti i presenti; ad aiutare è stato anche il fatto che i due aggressori non sembravano avere più di dieci o undici anni, quindi erano minuti e più bassi di lui.
Per quanto giovani e piccoli però, erano tutt’altro che innocui.
Il bambino che stava dando i calci aveva dei corti capelli rossi e due vividi occhi grigi; lui era quello più spaventoso poiché godeva di una costituzione snella ma molto robusta.
Il bambino con il piede appoggiato sulla vittima aveva i capelli scuri e due curiosi occhi castani; era poco più magro dell’altro, ma comunque molto atletico.
Stefano è rimasto fermo e in silenzio a guardarli per un po’, e si è subito reso conto che c’era qualcosa di inusuale in loro perché ogni volta che concentrava lo sguardo su di uno, gli occhi dell’altro sembravano cambiare colore e diventare rossi.
Dopo qualche attimo la situazione era diventata piuttosto … strana. Stefano era da solo davanti a due persone che non conosceva e che lo stavano fissando con delle espressioni difficili da decifrare … persone che fino a poco fa stavano prendendo a calci un bambino che era ancora lì a terra, sotto il piede di uno di loro.
Nessuno parlava o si muoveva, neanche la vittima, e nell’aria Stefano stava iniziando a sentire uno strano ma estremamente piacevole odore.
Dopo diversi secondi di silenzio, uno di loro si è deciso ad aprire bocca.
<<Quindi?>> ha domandato il bambino che stava sferrando i calci <<Vuoi dirci qualcosa o sei qui solo per guardarci?>>
Quella domanda ha riscosso Stefano dal suo momentaneo blocco mentale, che esitante e nervoso ha iniziato a parlare.
<<I … io … ehm … che … c-che state facendo?>>
<<Stiamo giocando.>> è stata la risposta dello stesso bambino che aveva parlato prima; il suo tono era calmo e contenuto.
<<G … giocando?>>
<<Sì. Perché lo chiedi?>>
Stefano ha a quel punto abbassato lo sguardo sul bambino che stava venendo picchiato; aveva le mani intorno alla testa quindi non riusciva a vederlo in faccia.
<<A … a me non … non sembra.>> ha continuato Stefano, cercando di farsi coraggio; essere più grande e alto di loro lo stava aiutando molto in questo <<S-se non la smettete chiamo i professori. Capito?>> ha aggiunto, cercando di assumere un tono più minaccioso e autorevole.
<<I professori?>> è intervenuto il bambino dai capelli neri <<E perché?>>
<<P-perché state … lo state picchiando!>> ha risposto Stefano <<E non dovete!>>
<<E perché no?>>
<<P-perché gli fate male!>>
<<E quindi? Stiamo solo giocando. E a lui piace.>>
<<Cos-? No che non gli piace! A nessuno piace farsi male!>>
<<Sì. A lui piace.>> il bambino che teneva il piede sopra la vittima lo ha tolto, si è chinato su di essa e prendendola di peso per il retro del collo l’ha sollevata da terra senza alcun visibile sforzo.
La vittima, minuta e gracile se confrontata con i suoi aggressori, si è limitata a fare qualche verso addolorato ma non si è ribellata più di tanto alla presa e si è lasciata sollevare fino a quando il suo volto è arrivato all’altezza di quello di Stefano.
<<Digli che stiamo giocando e che ti piace.>> ha ordinato il bambino che la stava sollevando, quindi la vittima ha incrociato lo sguardo di Stefano e ha obbedito agli ordini.
Nei suoi occhi Stefano ci ha visto sofferenza e vergogna però, quindi il ragazzo ha subito scosso la testa con vigore <<N-non è vero!>> ha esclamato <<L-lo dice solo perché ha paura! Lascialo andare!>>
Il bambino che teneva sollevato l’altro ascolta le parole di Stefano e lascia la presa, facendo cadere la vittima sulle sue ginocchia.
<<Contento ora?>>
<<Sì. E … e ora andatevene!>>
In seguito a quelle parole il bambino dai capelli rossi è avanzato e si è messo proprio davanti a Stefano guardandolo dritto negli occhi.
<<E se non andiamo via che succede?>> ha chiesto; aveva uno sguardo di sfida per metà curioso e per metà calmo.
<<Se non andate via …>> Stefano ha esitato un attimo, però si è fatto coraggio nel ricordarsi che per quanto atletico e muscoloso quel bambino potesse sembrare rimaneva comunque più basso piccolo e minuto di lui <<lo dirò ai professori. E finirete in punizione. Capito?>>
<<Va bene. E se invece vai via tu?>>
<<No.>> ha detto Stefano con decisione.
<<Che significa “no”?>>
<<Che non me ne vado.>>
<<Uh, va bene. Ma io non voglio andare via quindi devi andare via tu.>>
<<No!>>
<<Va bene. Ti do cinque secondi per cambiare idea, poi ti farò male.>>
Stefano è rimasto leggermente scosso da quella risposta, ma non ha ceduto ed è rimasto fermo sul posto con l’intenzione di accettare la sfida del ragazzo dato che le sue parole non sembravano seriamente minacciose … ma si sbagliava.
Dopo cinque secondi il bambino lo ha colpito con un improvviso e rapido movimento del braccio, e i riflessi del ragazzo non sono stati minimamente in grado di rispondere all’aggressione.
Il bambino gli ha infilato con una violenza inaspettata un gomito dritto nella sua pancia, all’altezza del plesso solare; l’impatto è stato così preciso e potente che Stefano si è ritrovato privo di aria nell’arco di pochi brevissimi istanti; non ha neanche avuto la possibilità di urlare mentre il dolore è esploso con un’intensità mai sentita prima.
Il ragazzo si è letteralmente piegato su sé stesso, e nell’infinita attesa che il dolore si abbassasse si è lasciato cadere a terra, mettendosi in posizione fetale con le braccia strette intorno alla pancia e gli occhi in lacrime.
Non sa bene quanto tempo sia passato in quella posizione, ma dopo un po’ la vista gli è tornata e con essa l’abilità di respirare; mettendo a fuoco ciò che aveva intorno ha notato di essere a terra, e davanti a lui c’erano le scarpe del bambino che lo aveva colpito.
Stefano stava ancora tremando per il dolore quando il bambino si è accovacciato davanti a lui e ha portato il suo pugno chiuso davanti al suo volto, a pochi centimetri dalla sua bocca; con sguardo compiaciuto il piccolo bullo ha detto: <<Bacia.>>
Stefano ha lanciato uno sguardo perplesso al bambino; non stava capendo il motivo dietro alla sua richiesta, ma ancora non aveva le forze per dirglielo.
<<Bacia.>> ha ripetuto quello, battendo con leggerezza le nocche sulla bocca del ragazzo <<Baciami il pugno, dai. E ti lascio andare via.>>
Stefano però si è rifiutato di assecondarlo ed è rimasto in silenzio a guardarlo negli occhi.
Dopo alcuni secondi di vana attesa il bambino si è spazientito e si è messo sopra la testa del ragazzo, con il sedere pesantemente appoggiato sulla sua bocca; da quella posizione il bambino ha prima neutralizzato le braccia del ragazzo sfruttando i suoi arti, dopodiché ha iniziato a colpire lo stomaco di Stefano, che era rimasto esposto e senza protezione.
Il ragazzo non riusciva ad urlare perché il bambino aveva un peso sorprendemente elevato per la sua età, sembrava pesare quanto un armadio ed era praticamente irremovibile da lì sopra, e questo ha portato ad un doloroso risultato: la pancia di Stefano è stata tartassata di pugni, pugni dati in rapida successione e con sempre maggiore forza e pesantezza.
Dopo un periodo di tempo che è sembrato interminabile il bambino ha interrotto i colpi e si è alzato; sotto di lui c’era uno Stefano praticamente moribondo che avrebbe già vomitato da tempo se ne avesse avuto l’occasione. Malgrado ciò il bambino ha di nuovo avvicinato il suo pugno alla bocca di Stefano.
<<Bacia.>> gli ha nuovamente detto, ma non ha ricevuto risposta, neanche uno sguardo questa volta <<Ehi … mi senti?>>
<<Non credo ti senta.>> è intervenuto l’altro.
<<Sì che mi sente. Non è svenuto.>>
<<Lo so, ma dobbiamo andare, tra poco suona la campanella.>>
<<Uffa … perché dura così poco la pausa?>>
Stefano non ha seguito la loro intera discussione, così come non ha neanche provato a vedere la direzione che avevano preso una volta che se ne erano andati, era troppo impegnato a cercare di abituarsi al dolore causato dal pestaggio.
Quando la campanella è suonata, lui è rimasto lì a terra. È stato trovato da una bidella che l‘ha subito accompagnato in infermeria, dove ha raccontato l’accaduto ad alcuni professori.
Non è tornato in classe quel giorno, i genitori sono andati a prenderlo per portarlo a casa in anticipo.
Il ragazzo non è riuscito a mangiare nulla fino alla sera successiva, ed ha sofferto di un forte mal di pancia per più di una settimana.
Dopo aver denunciato l’accaduto non era successo nulla di particolare. Stefano non conosceva i nomi dei bambini, e dopo averli descritti i professori hanno subito abbassato il livello di allerta perché si trattava di alunni di circa undici anni, quando loro invece si aspettavano qualcuno di più grande.
È stato facile trovarli comunque, e quei due sono stati chiamati nell’ufficio del preside, luogo da cui poi sono usciti senza evidenti cambiamenti.
Stefano ha comunque creduto di aver fatto la scelta migliore ed ha sperato che quella storia si sarebbe conclusa lì, e per un po’ è stato così dato che dopo un po’ di giorni il ragazzo si era anche dimenticato dello spiacevole evento che gli era capitato nel cortile della scuola; aveva iniziato a interagire molto di più con i compagni della sua classe, quindi se li era fatti in larga parte amici e durante l’intervallo pomeridiano aveva iniziato a stare con loro anziché da solo.
Tutto proseguiva per il meglio, ma l’occasione per ricordarsi di quei due bulli è apparsa inaspettatamente.
Nella scuola era circolata la voce che un bambino fosse scomparso durante le ore di lezione, forse addirittura rapito da uno dei bidelli. Questa notizia aveva causato molto scalpore, e la scuola aveva addirittura chiuso per alcuni giorni per consentire alla polizia di svolgere delle indagini.
Alla fine non si è scoperto nulla di utile, e le giornate scolastiche sono proseguite come al solito. Voci di corridoio tra alunni e addirittura professori hanno iniziato a circolare però, voci riguardanti il fatto che il bambino scomparso delle volte “riapparisse” come un fantasma.
Si diceva che corresse per i corridoi, e c’era chi sosteneva di averlo visto rannicchiato in un angolo della scuola per poi vederlo scattare via verso uno sgabuzzino e sparire nel nulla; qualcuno sosteneva di averlo addirittura visto nel giardino.
La maggior parte dei bambini raccontava storie di questo tipo per spaventarsi a vicenda ovviamente, ma quando a parlarne sono stati anche alcuni professori l’effetto è stato che durante l’intervallo pomeridiano tutti quanti hanno iniziato ad andare in giro in gruppi sempre più larghi; nessuno voleva stare da solo, quindi i gruppi più piccoli hanno iniziato a unirsi a quelli più numerosi.
Questo ha portato ad un interessante sviluppo. Le classi erano diventate dei gruppi unici che per divertirsi e passare il tempo dovevano per forza di cose occupare un grosso spazio del giardino, ma dato che lo spazio non era molto queste classi hanno iniziato a giocare insieme così da poterlo condividere.
Giocavano con la palla, con carte da gioco, oppure facevano piccole gare atletiche (come la corsa), e in poco tempo questa è diventata una vera e propria tradizione; ogni pomeriggio le classi si incontravano nel giardino e si sfidavano tra di loro per passatempo.
A causa di ciò tutti nella scuola avevano iniziato a conoscersi, e grazie a queste competizioni il nome di due persone, due fratelli per la precisione, aveva iniziato a circolare nella bocca di tutti.
“Samuele e Mattia”, due bambini apparentemente imbattibili in nessun tipo di gioco o sfida.
Erano i bambini più veloci, più abili e più forti della scuola, ed erano diventati famosi anche per la loro definizione muscolare, che era straordinariamente marcata per qualcuno della loro età.
Stefano li aveva riconosciuti subito ovviamente, erano i due che tanti giorni prima stavano prendendo a calci un bambino, e quando li ha rivisti correre per il giardino non è riuscito a trattenersi dal rimanere incantato dall’assoluta bellezza dei loro movimenti.
Mattia e Samuele si muovevano rapidi e precisi come delle macchine, e guardarli muoversi, correre e spostarsi con quel livello di ritmo e coordinazione dava uno strano senso di soddisfazione … era come guardare gli ingranaggi di un orologio incastrarsi perfettamente tra di loro.
“ASMR”. Stefano avrebbe descritto con questa parola ciò che sta vedendo, ma ciò non valeva solo per lui … quasi tutti i bambini della scuola, e addirittura i professori, hanno trovato le movenze dei fratelli incantevoli.
Quei due sembravano dei robot: non sbagliavano un colpo, non facevano mai un passo falso né eseguivano un singolo movimento superfluo … erano talmente coordinati che addirittura il loro respiro era sincronizzato; neanche gli alunni più grandi riuscivano a tenergli testa, nemmeno i pochi quindicenni presenti.
Voci riguardanti al fatto che quei due usassero steroidi o altre forme di doping hanno velocemente fatto il giro delle classi, ed erano perfettamente comprensibili dato che un giorno Mattia è rimasto a petto nudo per mettere in bella mostra il suo fisico, talmente scolpito da sembrare finto.
Malgrado ciò i due fratelli sono subito diventati i bambini più popolari dell’intera scuola; tutti volevano essere loro amici, tutti volevano giocare e parlare con loro, e con suo immenso dispiacere anche gli amici di Stefano si sono ritrovati nella loro lista di fan.
Lui non li sopportava ovviamente, e li ha sempre evitati quando poteva. Ai suoi occhi quei due non erano altro che bulli perché per quanto popolari e ben voluti si comportavano piuttosto male; Samuele in realtà era un tipo tranquillo, se ne stava per lo più per le sue e di lui si parlava poco … ma Mattia era tremendo, i professori faticavano davvero tanto a tenerlo a bada, e ogni settimana finiva in punizione per qualcosa di diverso.
E infine andava detto che quei due erano davvero troppo competitivi, e giocare con loro era diventato piuttosto stressante oltreché umiliante: per molti era divertente vederli stravincere in grande stile e vederli flettere i loro muscoli scolpiti davanti alle facce desolate degli sconfitti, ma per Stefano quella era solamente arroganza ingiustificata.
Malgrado i suoi sentimenti nei loro confronti però, Stefano si ritrovava spesso a pensare a loro, e il motivo era semplice: erano bulli, arroganti e antipatici, ma erano anche dannatamente belli, e il fatto che il ragazzo avesse per lo più amiche femmine non aiutava perché in giardino stava sempre con esse, e loro molto spesso parlavano di Samuele e Mattia sottolineando di continuo il quanto fossero “fighi” e “belli” nonostante la loro età.
Dopo un po’ le acque si sono calmate però. Le competizioni tra classi erano diventate noiose e monotone, competere con i fratelli non era più divertente per nessuno, e le storie sul bambino fantasma hanno cessato di girare facendo cessare anche la paura che portava tutti gli alunni a stare sempre insieme; a causa di ciò dopo le vacanze natalizie la scuola era tornata più o meno “normale”, e sebbene ormai tutti si conoscessero in giardino si era tornati a formare gruppetti più piccoli e indipendenti.
I “fratelli prodigio” rimanevano molto popolari, ma la maggior parte degli studenti aveva smesso di parlare di loro, comprese le amiche di Stefano … sebbene lui avesse continuato a pensarci.
L’anno scolastico è quindi proseguito senza intoppi fino alla fine delle vacanze di Natale, ed è stato durante il mese di febbraio che è successo l’evento che ha portato Stefano a interagire nuovamente con i due fratelli: una gita scolastica lunga ben cinque giorni.
Camposcuola è il termine corretto della gita a cui Stefano ha partecipato, e si è tenuto in una pacifica località di montagna. A partecipare sono state cinque classi in totale, due classi del primo anno e tre classi del terzo.
Questa gita non era una vacanza di piacere ovviamente, quindi fin dal primo giorno i bambini sono stati tenuti occupati dai professori con costanti camminate esplorative e giri turistici tra la neve e il freddo.
L’hotel che ha ospitato i bambini delle medie godeva di sole tre stelle, malgrado ciò era molto vasto ed è proprio all’interno di questa struttura che Stefano ha finalmente riavuto l’occasione di riparlare con i due fratelli.
La stanza in cui dormiva era piccola e stretta, condivisa con altri due bambini, ma fin dal primo giorno le sue amiche lo invitavano a passare il tempo libero nella loro di stanza, molto più spaziosa.
Solitamente nelle stanze d’hotel non si faceva nulla di speciale; si giocava a carte, a nascondino, oppure si chiacchierava e basta … la terza notte della gita è stata organizzata una sorta di “pigiama party” però, e ad essere invitati sono stati anche alcuni bambini delle altre classi, tra cui Mattia e Samuele.
In mezzo a tutta quella gente Stefano si è sentito un po’ a disagio. In genere non era timido, ma quando era in presenza di tanti bambini tendeva ad innervosirsi perché non sapeva bene il come comportarsi.
A non aiutarlo è stato anche il fatto che quasi tutti i bambini presenti avevano un comportamento chiassoso, energico, esageratamente estroverso e stupidamente competitivo … l’opposto di quello più tranquillo e contenuto delle ragazze con cui era abituato a stare.
I giochi che facevano i “maschietti” erano dal punto di vista di Stefano stupidi e pericolosi: saltavano e correvano tra i letti, combattevano tra di loro usando i cuscini, si sfidavano a wrestling e a braccio di ferro, e facevano un sacco di casino.
A causa della sua natura pacata Stefano si è inizialmente limitato a sedersi su un letto e a guardare la festa passivamente, parlando occasionalmente con quelli che di tanto in tanto si sedevano affianco a lui, ed ha proseguito così fino a quando non ha iniziato a notare qualcosa di preoccupante … tutti stavano diventando più frenetici e disinibiti, anche le sue amiche più calme.
Mentre un piacevole e stuzzicante profumo frizzante diventava sempre più percepibile nell’aria, cuscini e scarpe hanno iniziato a volare, così come alcuni telefoni e vestiti, ma la cosa che più aveva colpito Stefano era il fatto che quando un cuscino è arrivato per sbaglio sulla sua testa la sua risposta è stata quella di rilanciarlo al mittente senza neanche pensarci due volte.
Dopo quel lancio anche lui è stato rapito dalla frenesia. Vedere tutte quelle persone correre e saltellare aveva risvegliato in lui un istinto che neanche sapeva di avere, e si è ritrovato a inseguire bambini e ragazzi che non conosceva in una stupida e pericolosa versione di acchiapparella, per poi ritrovarsi a prendere a cuscinate una sua amica fino a quando lei non si è arresa ridendo a gran voce.
Si stava divertendo come poche volte, ma le cose sono cambiate quando il suo sguardo si è abbattuto su Mattia; quel piccoletto era stranamente a piedi scalzi, e ancora più strano era il fatto che fosse in piedi sopra al corpo accovacciato di uno dei ragazzi più grandi, che stava tentando inutilmente di farlo scendere da lì.
Stefano si è fermato a guardare la scena con vago interesse: Mattia rimaneva sopra al corpo del ragazzo con un equilibrio pazzesco, e non importava quante volte lui provasse a rotolare sul pavimento o provasse a spingere e colpire le gambe del bambino, quello in qualche modo rimaneva lì sopra sfruttando solo l’agilità e la forza delle sue gambe.
<<M-mi arrendo!>> ha piagnucolato alla fine il ragazzo.
<<Nah, non puoi arrenderti.>> ha risposto Mattia con tono pacato <<Abbiamo appena iniziato.>>
<<Invece sì che posso, mi arrendo!>>
<<No, non puoi.>> Mattia gli ha piantato un piede sulla nuca, schiacciandogli la faccia sul pavimento con forza inaspettata <<Se vuoi arrenderti devi leccare per terra.>>
<<Cos-? No! Scendi!>>
<<No. Prima lecchi il pavimento.>>
<<Dai, Tia, per favore!>>
<<No. I perdenti leccano il pavimento, sono le regole.>>
<<Dai … ti prego!>> ha implorato il ragazzo, e quelle parole dette quasi con le lacrime agli occhi hanno riscosso Stefano dallo stordimento, che a causa della situazione frenetica in cui l’intera stanza si trovava ha deciso di seguire il suo istinto e intervenire.
Il ragazzo ha così abbandonato la sua amica, ha superato alcuni bambini intenti ad azzuffarsi sul pavimento, ed ha raggiunto in poco tempo la scena a cui stava assistendo da lontano.
<<Ehi!>> ha detto Stefano una volta davanti a quei due <<Dai, ora scendi. Gli stai facendo male.>> ha aggiunto rivolto al bambino una volta ottenuta la sua attenzione.
<<Uh?>> Mattia lo ha guardato con espressione curiosa per qualche secondo, dopodiché la luce di un ricordo ha illuminato il suo volto <<Io ti conosco.>> ha detto accigliandosi leggermente <<Sei il gigante con gli occhi strani. Tu ti ricordi di me?>>
<<Gi … gigante con gli occhi strani?>>
<<Sì.>> Mattia è saltato giù dal ragazzo che stava schiacciando continuando a fissare Stefano dritto negli occhi <<Mi devi un bacio, ricordi?>>
Tutto il coraggio che Stefano aveva in corpo è rapidamente evaporato in quell’istante, tanto che ha iniziato ad indietreggiare.
<<Ehm … un b-bacio?>>
<<Sì.>> ha risposto Mattia, avanzando in sua direzione senza mai interrompere il contatto visivo <<Ma perché balbetti sempre?>>
<<E … eh?>>
<<Sei un bal … ehm … bal …>> Mattia ha aggrottato la fronte nel mentre si sforzava di ricordarsi il termine esatto <<Bal … bu …>>
<<Balbuziente?>> ha intuito Stefano.
<<Sì, esatto. Sei un balbuziente?>>
<<N … no. Non credo, no.>>
<<E allora perché balbetti quando ti parlo? Anche l’altra volta lo facevi.>>
A quella domanda Stefanon non sapeva cosa rispondere, quindi si è limitato a scuotere la testa.
<<Uh, va bene.>> ha tagliato corto Mattia <<Comunque voglio giocare con te. Alla lotta. E se vinco voglio quel bacio. Anzi, voglio un sacco di baci.>>
<<P-perché proprio alla lotta?>>
<<Perché voglio saltarti sopra.>>
<<C-cosa? Perché?>>
<<Hai la pancia grossa.>>
<<E quindi?>>
<<Quindi voglio rimbalzare su quella pancia.>> ha spiegato Mattia ridacchiando <<Pronto?>>
<<N-no aspetta!>> lo ha fermato Stefano mentre la sua lenta ritirata si bloccava su un letto <<Io non … non so giocare alla lotta, scusa.>>
<<Ti insegno io.>>
<<Ma io>>
<<Sono davvero bravo a combattere, giuro!>> ha continuato lui <<Faccio tutto. Judo, jiujitsu, karate, muay thai, pugilato, kickboxing … anche sumo se vuoi.>>
<<Ehm, ecco, io … a me non piacciono molto queste cose, io>>
<<Tranquillo, ti piacerà.>>
Stefano ha deglutito leggermente paralizzato dal nervosismo e dall’intensità dello sguardo di Mattia; quel bambino non aveva un aspetto troppo minaccioso in quel momento perché la definizione dei suoi muscoli era nascosta sotto i pesanti vestiti invernali, quindi sembrava un normalissimo bambino di undici anni (solo un po’ più robusto e muscoloso della media).
Però Stefano sapeva che quella era un’ingannevole apparenza, quindi il suo istinto lo ha portato a indietreggiare ancora finendo per inciampare sul bordo di un letto e finire seduto su di esso; non appena ciò è accaduto Mattia è balzato agilmente sul ragazzo atterrando con i piedi sopra le sue cosce.
Il peso del bambino ha preso completamente alla sprovvista Stefano, che si è sentito come se ad atterrare sopra di lui fosse stato un mobile, e spinto dal suo istinto il ragazzo ha stretto le dita intorno alle gambe del bambino e ha provato a spingerlo via, cosa che lo ha fatto rimanere ancora più sorpreso a causa dell’inaspettata durezza del suo corpo … stringere le gambe di Mattia stava dando a Stefano la stessa sensazione che gli avrebbe dato stringere due pali della luce.
<<Allora ragazzone… come ti chiami?>> ha domandato il bambino guardando Stefano dall’alto verso il basso.
<<S-se scendi te lo dico.>> è stata la risposta data con una certa difficoltà; il peso di Mattia stava mettendo a dura prova la resistenza del ragazzo.
<<Dimmelo e basta.>>
<<P-prima scendi.>>
<<Fammi scendere tu.>>
<<N … non ci riesco ….>>
<<No?>> Mattia ha incrociato le braccia <<E allora rimango qui.>>
<<T-ti prego …>> ha supplicato Stefano guardandolo in faccia, ma il bambino aveva un sorrisetto sfottente e incurante stampato sul volto, era chiaro che non sarebbe sceso con le buone maniere.
Stefano ha rapidamente riflettuto sulle sue opzioni; provare ad alzarsi? Il peso del bambino era tale che quella opzione era fuori discussione, le sue gambe non si sarebbero mosse di lì facilmente.
Spingerlo via? Ci stava già provando, ma Mattia era pesante quanto una statua e rischiava di farsi male da solo se avesse spinto con maggiore forza.
Gli era rimasta solo un’opzione: colpirlo.
Stefano ha quindi rapidamente chiuso a pugno la sua mano e ha colpito il bambino dritto sulla sua pancia, sperando di farlo sbilanciare e cadere.
<<Cos’era quello?>> ha chiesto Mattia, assumendo un espressione leggermente più seria.
Stefano si è guardato la mano con cui aveva colpito Mattia con un espressione scioccata; non ci aveva messo tutta la forza in quel pugno, non voleva fargli male dopotutto, però il bambino ha completamente ignorato il colpo mentre il pugno sembrava aver colpito un muro.
<<Rispondi.>> ha incalzato Mattia abbassando le braccia in modo minaccioso <<Cos’era quello?>>
Stefano ha deglutito; in quel momento stava seriamente iniziando ad avere paura, ed era la prima volta in assoluto che un bambino gli causava quel sentimento.
<<Non parli, eh?>>
<<I-io …>> Stefano è tornato a guardare Mattia negli occhi <<scusa.>> ha detto alla fine.
<<Non voglio le tue scuse, voglio che mi dici cos’era.>>
<<Un … un pugno.>>
<<Ah sì?>>
<<S-scusa! Davvero, non … non volevo farlo!>>
<<Però l’hai fatto.>>
<<L-lo so, ma>>
<<Mi hai dato un pugno.>> ha continuato il bambino <<Mi hai fatto male.>>
<<M-mi dispiace.>> ha detto ancora Stefano piegandosi leggermente in avanti a causa del forte dolore alle gambe <<Davvero …>>
<<Dimostralo.>> Mattia ha portato una sua mano fino al volto di Stefano <<Bacia.>>
A quel punto la mente del ragazzo è tornata alla prima volta in cui ha visto il bambino e al pestaggio che ha subito in seguito al suo rifiuto di baciargli la mano chiusa a pugno.
In quel momento però è successo qualcosa di strano nel suo cervello, un ragionamento che non si aspettava avrebbe mai fatto … ragionamento che lo ha portato ancora una volta a dire di no nonostante il dolore alle gambe che stava rapidamente diventando insopportabile.
<<Senti bello>> ha detto il bambino, chinandosi in modo da avvicinare il suo volto a quello del ragazzo <<se non obbedisci ti farò male di nuovo.>> e con quella minaccia ha avvicinato nuovamente il pugno alla bocca di Stefano <<Bacia.>>
La mano del bambino era impregnata di un profumo pizzicante e intenso, lo stesso che stava aleggiando in tutta la stanza, e quel profumo era così dannatamente buono che Stefano ha dovuto ricorrere a tutta la sua forza di volontà per resistere alla tentazione di assecondare il bambino.
<<No.>> ha detto.
<<No?>>
<<No.>> ha ripetuto il ragazzo guardando Mattia dritto negli occhi.
Il bambino erano tornato ad avere un volto quasi del tutto inespressivo, però si stava mordendo il labbro inferiore con due occhi che vibravano di un’accesa curiosità, e le sue papille si erano visibilmente allargate.
La situazione è rimasta stallata per qualche attimo, e il silenzio veniva ogni tanto rotto dai gemiti trattenuti di Stefano, che stava iniziando a lacrimare dagli occhi per il dolore; neanche lui sapeva da dove stesse trovando la forza di continuare a opporsi alla richiesta del bambino, eppure lo stava facendo spinto da un desiderio che non era neanche certo di dover ascoltare.
<<Tra un minuto e venticinque secondi le ossa delle tue cosce si spezzeranno.>> ha detto il bambino dopo un po’ <<Se però fai quello che ti dico, scenderò e non ti succederà nulla.>>
<<C … cosa?>>
<<Hai capito. Ora scegli: ti rompo le gambe oppure mi baci la mano.>>
Stefano non voleva credere alle sue parole, però il dolore che provava era innegabilmente troppo elevato per essere normale … forse il bambino aveva ragione, forse doveva arrendersi e dargli quello stupido bacio, dopotutto che gli costava?
Ma Stefano ha atteso. Non si è arreso subito. C’era qualcosa che lo spingeva a resistere, una fortissima sensazione adrenalinica che superava addirittura il dolore e che anzi veniva potenziata da esso.
<<Venti secondi.>> ha detto ad un certo punto Mattia, dopodiché è rimasto in silenzio fino a quando non ha iniziato a fare il conto alla rovescia da dieci.
Il cuore di Stefano ha iniziato a battere più forte del normale. Era spaventato? No … non solo per lo meno. Sicuramente aveva paura, ma in quel momento stava provando qualcos’altro.
<<Cinque.>>
Qualcosa di fortissimo.
<<Quattro.>>
Che non aveva mai provato prima.
<<Tre.>>
L’alito di Mattia gli stava entrando nel naso.
<<Due.>>
Anche quello aveva un odore pizzicante e pungente.
<<Uno.>>
Un odore così buono che gli stava dando alla testa.
<<Tu sei pazzo.>> il bambino ha detto alla fine, scendendo con rapidità dalle gambe del ragazzo.
L’improvvisa scomparsa della pressione non ha portato il sollievo che Stefano sperava di ricevere, infatti si è subito ritrovato a massaggiarsi cautamente le cosce, che erano così doloranti che a malapena si muovevano … però a prima vista non sembravano rotte.
Il bambino lo ha osservato in silenzio per un po’, poi però ha deciso di riprendere la sua attenzione.
<<Ehi bello, ancora non mi hai detto il tuo nome.>>
<<S … Stefano.>>
Mattia a quel punto ha fatto un largo sorriso compiaciuto <<Bene Stefano. Ti devo saltare sulla pancia, ricordi? E ti devo insegnare qualche mossa di arti marziali.>>
Il ragazzo ha lanciato uno sguardo inorridito al bambino <<S-scherzi, vero?>>
<<No.>> è stata la risposta data con pacata determinazione <<Mettiti a terra.>>
<<E-eh?>>
<<A terra bello.>>
<<N … no, io non voglio. No.>>
Lui ha sospirato <<Va bene. Allora la prima cosa che ti insegno è una proiezione.>>
Stefano ha assunto un’espressione leggermente perplessa <<Una … cosa?>>
<<Questa.>> Mattia lo ha preso per il colletto, dopodiché lo ha prima sollevato di peso dal letto e poi lo ha fatto cadere per terra, risistemandosi sopra di lui al tempo stesso.
L’intera azione è durata pochi attimi, e Stefano non ha neanche sofferto troppo dall’impatto avvenuto con il pavimento, è solo rimasto stordito. Nel frattempo il bambino si era messo sopra il suo petto e con le ginocchia teneva ferme le braccia del ragazzo; aveva un sorriso soddisfatto e compiaciuto stampato sul volto.
<<Quello era un “Tai Otoshi”, una proiezione di judo.>> ha detto <<Mentre questo è uno “schoolboy pin”, si usa nel wrestling.>>
<<P-per favore …>> ha implorato Stefano <<le mie gambe mi fanno malissimo e tu sei pesantissimo.>>
<<Sono pesante?>> Mattia ha inarcato un sopracciglio <<Sei sicuro?>>
Sentendo quelle parole Stefano si è reso conto di una cosa: quel bambino non pesava più quanto prima, era diventato leggero quanto un bambino della sua età dovrebbe essere, laddove prima il suo peso era decisamente sproposito rispetto alle sue dimensioni.
<<E … ecco …>> Stefano era confuso e stordito, non capiva il cosa stesse succedendo, e nel mentre che ci pensava Mattia gli ha delicatamente preso il volto tra le mani.
Quando la pelle del bambino è entrata in contatto con quella del ragazzo l’intero corpo di Stefano è stato letteralmente travolto da brividi di piacere. Quella reazione però non era normale, era palesemente innaturale, e il ragazzo non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo.
Mattia si è reso conto del panico di Stefano dai suoi occhi, e ha sorriso con divertimento <<Ti piace, eh?>> ha detto mordendosi il labbro inferiore.
<<C … cosa … cosa sta succedendo?>>
<<Tranquillo.>> ha continuato Mattia pizzicandogli dolcemente le guance <<Sei carino quando hai paura, sai? Da oggi sei la mia nuova troia.>>
Il tocco delicato del bambino era passato dall’essere esplosivamente piacevole all’essere incredibilmente rilassante; lo stordimento del ragazzo si è rapidamente trasformato in confusione, mentre il dolore è diventato stanchezza e debolezza.
Dopo un po’ Stefano ha iniziato a sentirsi come se stesse galleggiando sull’acqua, in un lago fatto di emozioni a cui non riusciva a dare spiegazioni logiche.
Mattia in tutto ciò sembrava un angelo sceso dal cielo … o forse un demone, considerando il fatto che ogni volta che il ragazzo smetteva di guardarlo dritto negli occhi quest’ultimi sembravano cambiare colore e diventare rossi.
Era tutto così strano … così surreale …
<<Io … ehm … vorrei che ti alzassi, per favore.>> ha detto Stefano dopo un po’, anche se una parte di lui sarebbe voluta rimanere lì sotto per sempre; ammetterlo gli era difficile, ma quel momento era così assurdo che gli stava davvero piacendo.
<<Va bene.>> è stata la risposta di Mattia <<Ora mi alzerò, ti metterò un piede sulla faccia e uno sul petto, poi camminerò su tutto il tuo corpo, e poi ti salterò sulla pancia finché non diventi piatto. E tu non urlerai neanche una volta.>>
Stefano non ha minimamente reagito a quelle parole, è rimasto a guardare il bambino negli occhi come paralizzato … si sentiva troppo debole per fare qualcosa a riguardo, e molto probabilmente stava dubitando anche del fatto di essere completamente lucido.
<<Bravo bimbo.>> ha ridacchiato Mattia dopo aver capito che Stefano non avrebbe opposto resistenza, quindi si è alzato ed ha esattamente fatto ciò che aveva detto, senza ricevere la minima opposizione.
Inizialmente il bambino era leggero, il suo peso era quasi del tutto ignorabile … ma più il tempo passava più diventava pesante.
Stefano ha stretto i denti e ha sopportato la situazione in silenzio. Si guardava intorno ogni tanto, e nel farlo ha notato che nella stanza quasi nessuno stava facendo caso a lui, tutti erano presi dai loro giochi e dalle loro chiacchiere; lui stesso faceva fatica a preoccuparsi di ciò che pensavano gli altri … ogni volta che ci provava il pensiero veniva soppresso dal suo cervello e la sua attenzione tornava interamente su Mattia, che sembrava trovarci davvero gusto nel camminare sopra di lui.
Faceva su e giù, passando anche per il collo di Stefano che si limitava a subire in silenzio domandandosi il cosa lo stesse spingendo ad accettare così passivamente quella situazione; normalmente si sarebbe già messo ad urlare o ad agitarsi … ma quella non era una situazione normale, perché sebbene ogni passo del bambino era più pesante del precedente Stefano non stava solo soffrendo.
Forse è stato lo stordimento dovuto alla proiezione di prima, forse era l’odore corporeo di Mattia che ormai era l’unica cosa che sentiva, ma quando il bambino ha iniziato a saltargli sulla pancia Stefano non ha provato solo dolore ma anche un’inaspettata esplosione di piacere.
Il ragazzo sapeva che tutto ciò non era normale. Si sentiva debole drenato e completamente privo di forze, come se si stesse per addormentare, quindi si è addirittura chiesto se in realtà non fosse svenuto e quegli ultimi eventi non fossero altro che uno stranissimo sogno.
Ma purtroppo non lo erano, e dopo un po’ il corpo di Stefano ha iniziato a cedere; la vista gli si è annebbiata, i suoni sono diventati ovattati, e l’unica cosa che il ragazzo provava era il peso di Mattia sopra di lui mentre l’unica cosa che sentiva era il suo odore, divenuto così pesante e intenso da risultare soffocante.
Senza neanche rendersene conto, Stefano stava perdendo sangue dalla bocca.
<<Questa è la sua stanza?>>
<<Sì, lui dorme qui.>>
<<Le chiavi le ha?>>
<<Non lo so.>>
<<Guarda nelle sue tasche.>>
<<Uhm … okay sì, trovate.>>
<<Apri.>>
La porta della stanza di Stefano si è aperta intorno alle 12, quasi tre ore dopo l’inizio del pigiama party. I suoi amici erano ancora svegli, e quando lo hanno visto entrare sulle spalle di Mattia si sono precipitati verso di loro.
<<Ehi che è successo?>>
<<È svenuto?>>
<<Calmi, calmi. È solo stanco.>>
<<Ha sbattuto la testa?>>
<<Lo avete detto ai professori?>>
<<No, non dite niente ai prof.>>
<<Ma che è successo?>>
<<Niente … è stanco, tutto qui. Dov’è il suo letto?>>
<<È quello.>>
Mattia ha lasciato Stefano sopra al letto indicato dai suoi amici, gli ha anche messo sopra le coperte; il bambino era ancora un po’ cosciente in quel momento, ma faceva davvero fatica sia a parlare che a muoversi.
Mattia ha poi tirato fuori dalla sua tasca quella che sembrava una piccola caramella verde e l’ha inserita nella bocca di Stefano.
Non appena la caramella ha toccato la lingua si è sciolta in un esplosione di gusti indescrivibilmente buoni … peccato però che Stefano fosse troppo stordito per assaporare appieno quella delizia.
<<Alla prossima.>> gli ha detto Mattia dandogli un pizzicotto sulla guancia, dopodiché ha salutato gli altri bambini ed è uscito dalla camera.
Il giorno dopo Stefano si è svegliato sorprendentemente in forma. Non aveva nessun dolore e nessun fastidio, anzi si sentiva così bene che per un attimo è rimasto confuso dal suo stesso corpo dato che non gli era mai capitato di svegliarsi senza neanche un briciolo di sonno residuo.
I suoi amici dormivano ancora quando ha aperto gli occhi, quindi si è alzato dal letto in silenzio ed è andato in bagno per osservarsi meglio: guardandosi allo specchio non ha notato nulla di strano o insolito, però sapeva che c’era qualcosa che non quadrava.
Si ricordava esattamente cosa era successo ieri. Mattia gli era stato sopra fino a farlo sanguinare, ma la storia poi non è finita lì perché Mattia ha iniziato a saltare e Stefano se ne uscito da quel gioco con una caviglia slogata, un polso rotto, e un sacco di altri dolori sparsi per il corpo.
La cosa assurda di tutto ciò è che nessuno dei presenti sembrava preoccupato o anche solo interessato a ciò che stava accadendo… e lo stesso valeva per Stefano, che non ha mai mostrato segni di preoccupazione per sé stesso.
Fatto sta che si è svegliato inaspettatamente in forma … non sembrava reduce da una nottata di giochi violenti e sfrenati, al contrario sembrava essere appena uscito da una SPA.
<<Ehi, Ste …?>>
Questa voce ha riportato la mente di Stefano al presente, che voltandosi verso la porta del bagno ha notato che uno dei suoi due amici si era alzato e lo stava guardando preoccupato.
<<Oh, ciao. Ti serve il bagno?>>
<<No tranquillo. Tu stai bene?>>
<<Sì.>>
<<Sicuro?>>
<<Sì. Cioè … credo.>>
La preoccupazione nel volto dell’amico è scomparsa <<Ma che è successo ieri? Sembrava che ti avessero pestato.>>
<<Davvero? Ehm … abbiamo fatto un gioco stupido e mi sono fatto male, tutto qui.>>
<<Ah … ora stai bene?>>
<<Sì sì, benissimo, grazie.>>
<<Sicuro? Quel tipo è un po’ pazzo.>>
<<Chi?>>
<<Quello che ti ha portato in camera. È quello che faceva i salti mortali in giardino, ti ricordi?>>
<<Oh … sì, Mattia si chiama.>>
<<Lo so. Ti ha portato sulle spalle come se non pesassi nulla. È stato strano vedere un tappo come lui portarsi sopra un gigante come te.>> ha ridacchiato il suo amico <<Comunque … eravamo preoccupati che ti avesse fatto male. Stai attento a quel nano. È pericoloso stare con lui. Una volta l’ho visto caricare un ragazzo fuori da scuola. Gli si è arrampicato sopra, lo ha strangolato e poi l’ha gonfiato. L’ha mandato in ospedale.>>
<<Ah sì?>>
<<Sì … te l’ho detto, è pazzo. Fa anche di peggio nello scuolabus. Stai attento.>>
Il resto della mattina è passato in modo del tutto normale; i bambini hanno fatto colazione nel ristorante dell’hotel, dopodiché sono usciti per un’altra lunga escursione nella neve.
Per tutto il giorno Stefano non ha fatto altro che ripensare alla nottata precedente però, e ogni volta che poteva cercava con lo sguardo Mattia, spesso troppo lontano anche solo per essere visto in modo nitido.
Quando scese la sera ai bambini è stato detto di attendere la cena nell’atrio dell’hotel, e nel farlo gli è anche stato dato un compito da svolgere dai professori; dovevano fare una recensione scritta di una delle opere che avevano visto in un museo visitato quel giorno, ma fortunatamente era un lavoro da fare in gruppo.
Stefano ha passato gran parte del suo tempo a lanciare occhiate di soppiatto a Mattia, e la cosa è andata avanti fino a quando l’altro non se ne è accorto e gli ha fatto cenno di avvicinarsi.
Stefano ha nervosamente rifiutato l’invito, ed ha anche cercato di far finta di non stare guardando davvero lui, ma dopo aver cenato nel ristorante dell’hotel Mattia lo ha approcciato inaspettatamente.
<<Ehi, balbuziente.>> lo ha salutato.
<<Oh, ehm … ciao.>>
<<È tutto il giorno che mi spii, vuoi dirmi qualcosa?>>
<<C-cosa? No io … ehm … non ti sto spiando, che stai dicendo?>> si è subito difeso Stefano; non voleva che anche i suoi amici se ne accorgessero dato che erano a portata d’orecchio.
<<Sì invece. E odio essere spiato quindi dimmi cosa vuoi.>> è stata la risposta del bambino.
Nell’udire quella domanda un brivido ha percorso l’intero corpo di Stefano, da capo a piedi.
<<Ehm … i-io in realtà … non… non voglio nulla, davvero.>>
<<Va bene. Allora seguimi.>>
<<E … eh?>>
<<Seguimi.>> ha ripetuto Mattia guardando il ragazzo dritto negli occhi <<Andiamo in camera mia.>>
<<P-perché?>>
<<Sei la mia nuova troia, ricordi?>>
<<Ehm …>> Stefano si è lanciato degli sguardi intorno per assicurarsi che nessuno abbia sentito, e fortunatamente i suoi amici si stavano già avviando verso la le loro stanze <<i-io non>>
<<Seguimi e basta.>> ha concluso Mattia con un tono per metà annoiato, dopodiché si è voltato e ha iniziato a camminare.
Stefano ha esitato qualche secondo prima di seguirlo.
La camera dei due fratelli era perfettamente ordinata, e nell’aria aleggiava l’ormai riconoscibile profumo di Mattia e Samuele, profumo frizzante e leggero.
Nella camera c’erano quattro letti. Tre erano liberi, mentre il quarto era occupato da Samuele che era intento nel guardare quello che sembrava un suo amico giocare al cellulare; in piedi in mezzo alla stanza c’era un altro bambino, uno che Stefano si ricordava bene.
<<Ehi, ma tu sei il grassone dell’altra volta!>> ha esclamato quel bambino, vedendolo arrivare <<Che ci fai qua?>> Stefano non ha fatto in tempo a rispondere che il bambino è stato colpito da un pugno tanto rapido quanto improvviso di Mattia, pugno che lo ha mandato dritto per terra con il naso sanguinante.
<<Lui è il mio nuovo amico.>> ha detto Mattia con tono duro <<E si chiama Stefano.>>
<<Ma perché mi hai colpito?>> ha piagnucolato il bambino portandosi le mani sul naso sanguinante.
<<Perché non devi offendere i miei amici.>>
<<Scusa … non sapevo che era tuo amico.>>
<<Ora lo sai.>> detto quello Mattia si è girato verso Stefano <<Lui è Andrea.>>
<<Gli hai rotto il naso …>> è stata la risposta del ragazzo,
<<Lo faccio spesso.>>
<<Eh?>>
<<È il nostro servo, e se fa qualcosa di sbagliato lo puniamo.>>
<<C… cosa? S-servo?>>
<<Sì.>>
<<Che significa?>>
<<Che fa quello che gli diciamo. Pulisce anche le nostre scarpe.>>
<<Davvero?>>
<<Sì.>> detto ciò Mattia si toglie gli scarponi invernali che teneva <<Ad esempio ora andrà a pulire questo. Vero Andrea?>>
<<Sì …>> è stata la desolata risposta del bambino.
<<Dagli anche le tue.>> ha aggiunto Mattia tornando a guardare Stefano.
<<Cos- le mie? No, io>>
<<Fallo. Fai finta che è solo un gioco.>>
<<Non mi piace come gioco …>>
<<A me non piacciono le cose sporche. E le tue scarpe sono sporche.>>
<<B-beh … posso pulire da solo.>>
<<Anche io posso pulire da solo. Ma è più bello se lo fa il tuo servo, no? Serve a questo.>>
<<N … no …>>
Mattia a quel punto ha aggrottato la fronte <<Perché no?>>
<<A me non piacciono i servi… sono una brutta cosa.>> è stata la nervosa risposta di Stefano.
<<Non è vero, sono molto utili. Ti fanno lo zaino, ti danno da mangiare e ti fanno tutti i massaggi che vuoi. E quando ti annoi ci puoi anche giocare.>>
<<Oh … ehm … capisco …però io io non ho servi, quindi …>>
<<Posso prestarti Andrea se vuoi, così lo provi.>>
<<Ehm … no.>>
Mattia ha squadrato in silenzio Stefano per qualche secondo, poi ha fatto spallucce <<Va bene. Allora le pulirai tu le tue scarpe.>>
<<Sì … è meglio.>>
<<Sai come si puliscono?>>
<<C-con l’acqua?>>
<<No.>> Mattia lo ha preso per un polso <<Ti faccio vedere come si fa.>> e detto ciò lo ha portato nel piccolo bagno della stanza, dove gli ha mostrato il modo migliore per ripulire e lucidare la tipologia di scarpe portate da Stefano senza danneggiarle <<Noi le puliamo tutti i giorni.>> ha poi spiegato il bambino <<Non ci piace lo sporco, ha un brutto suono.>>
<<Un brutto … suono?>>
<<Sì. Le cose sporche non ci piacciono. Neanche quelle in disordine. I tuoi occhi però mi piacciono, anche se sono disordinati.>>
<<Eh …?>>
Mattia lo ha guardato dritto negli occhi <<I tuoi occhi hanno due sapori diversi. Sono in disordine. Però è un disordine bello. Mi piace. Fa un bel suono.>>
Stefano non capiva, però non ha fatto altre domande e si è limitato a guardare con leggero stupore i rapidi e precisi movimenti che Mattia faceva nel pulirgli la scarpa; come al solito ogni suo gesto era talmente coordinato, ben calibrato e robotico da risultare quasi ipnotizzante.
<<Ecco fatto.>> ha detto Mattia, mostrando il risultato dei suoi sforzi a Stefano <<Ora è molto più bella, no?>>
<<Beh … sì.>> è stata la sincera risposta del bambino <<Wow. Grazie.>>
<<Bene. Ora fallo tu con l’altra scarpa.>>
<<Ehm … va bene. Ci provo.>>
E così, sotto lo sguardo attento di Mattia, Stefano ha replicato il suo lavoro, seppur con risultati leggermente più scadenti.
<<Bravo.>> si è complimentato Mattia al termine del lavoro <<Pulisci le scarpe meglio di Andrea. Sei una brava troia.>>
<<Smettila di chiamarmi così.>>
<<Perché?>>
<<Perché … non mi piace.>> è stata la nervosa risposta di Stefano.
Mattia ha sorriso leggermente <<Va bene. Comunque ieri mi sono divertito, hai sputato un sacco di sangue, è stato bellissimo. Voglio rifarlo. Ho un sacco di mosse da farti vedere, e ho anche voglia di legarti.>>
Nel sentire quelle parole Stefano viene nuovamente percorso da un brivido; il ricordo del dolore atroce provato il giorno prima gli ha quasi fatto venire le vertigini e dei conati di vomito, eppure per qualche motivo quando stava sotto ai piedi di Mattia la sofferenza aveva un sapore diverso … era più dolce.
<<Ehm … ecco io … in realtà non vorrei “giocare” …>>
<<Ah no? Ma mi hai guardato per tutto il giorno, deve esserti piaciuto.>>
<<No, non è vero!>>
<<Dai, non mentire. Sai che ho ragione.>>
Stefano ha deglutito e abbassato lo sguardo con aria colpevole <<Beh … io … non lo so.>>
<<Cosa non sai?>>
<<Quello che … insomma, non so il perché ti stavo guardando.>> ha infine ammesso <<Scusa.>>
Mattia si è lasciato andare in un altro sorriso <<Tranquillo>> gli ha detto <<sono abituato a essere guardato di nascosto.>>
<<Davvero?>>
<<Io e Samuele facciamo i modelli quindi ci fanno un sacco di foto, e un sacco di gente le guarda. Quindi non mi da fastidio che mi guardi anche tu. Anzi, mi piacciono i tuoi occhi, te l’ho già detto. Quindi puoi guardarmi tutte le volte che vuoi.>>
<<Oh … ehm … beh … wow … grazie.>> ha commentato Stefano <<Quindi tu … ehm … sei un modello. Davvero?>>
<<Sì.>>
<<Wow. Incredibile! E … e fai anche delle sfilate?>>
<<No. Solo foto.>>
<<Oh … figo!>>
<<Sì, lo so. Sono figo. Ora possiamo giocare? Voglio giocare alla lotta con te.>>
<<Io … ehm … non sono sicuro di volerlo fare.>>
<<E allora che vuoi fare? Picchiamo Andrea? Possiamo legare lui se vuoi.>>
<<Eh? No! E che intendi dire con “legare”?>>
<<Secondo te? Ho delle corde nella mia valigia, e leghiamo Andrea con quelle.>>
<<Perché?>>
<<Perché … è divertente.>>
<<No intendo … perché hai delle corde nella tua valigia?>>
<<Perché mi servono per legare Andrea.>>
Stefano non sapeva cosa rispondere; era stranito da tutto quel discorso.
<<E … e una volta legato che fate?>> ha domandato dopo un attimo di silenzio.
<<Uh, dipende da come lo leghiamo. Se lo leghiamo con la pancia scoperta facciamo a gara a chi lo fa vomitare.>>
<<Che …>> Stefano ha deglutito <<che significa?>>
<<Lo colpiamo alla pancia, un colpo a turno. Si inizia piano e poi sempre più forte. Quello che dà il colpo che fa vomitare Andrea vince. Vuoi provare?>>
<<Ehm …no, grazie.>>
Mattia ha sospirato <<Tu cosa fai nel tempo libero?>>
<<Ehm … leggo.>>
<<Leggi?>>
<<Sì.>>
<<Cosa?>>
<<Fumetti.>>
<<Fumetti …>> ha ripetuto Mattia con aria pensierosa.
<<Sì, di supereroi. Sono belli.>>
<<Hai un fumetto qui con te?>>
<<Sì, nel mio telefono. Vuoi vederli?>>
Mattia ci ha pensato un attimo <<La gente combatte nei fumetti?>>
<<Sì.>>
<<E c’è sangue?>>
<<In alcuni sì.>>
<<E ci sono persone che vengono schiacciate? O … distrutte? Picchiate?>>
<<Delle volte. In alcuni fumetti ci sono persone che vengono tagliate a metà. E ci sono dei supercattivi che distruggono intere città.>>
<<Davvero?>>
<<Sì.>>
<<E c’è tanto sangue?>>
<<Sì.>>
<<Figo! Va bene allora, leggimene uno.>>
<<In … in che senso?>>
<<Nel senso che voglio che prendi un fumetto e lo leggi ad alta voce per me.>>
<<Oh, ehm …>> Stefano si è grattato la testa nel sentire quella richiesta <<È strano leggere un fumetto a qualcuno ma se ti va io … io posso farlo, sì.>>
<<Bene.>> ha annuito Mattia <<Andiamo allora.>>
Erano passati giorni, e Stefano stava iniziando a conoscere molto bene i “fratelli prodigio” della sua scuola. Dopo la gita infatti ha iniziato a passare la pausa pranzo con loro, venendo a conoscenza anche del loro ristretto gruppo di amici.
Andrea è il primo che ha conosciuto. È un bambino minuto ma particolarmente attivo che non fa altro che saltellare avanti e indietro a Samuele; Stefano aveva paura di essergli antipatico all’inizio, ma Andrea si è subito abituato alla sua presenza nel gruppo e si è dimostrato molto amichevole.
Poi ha conosciuto Sara, una bambina particolarmente tranquilla e appassionata di libri fantasy e mitologia; lei e Stefano sono diventati quasi subito amici perché entrambi apprezzavano gli stessi videogiochi e gli stessi film, e se a Sara piaceva scrivere a Stefano piaceva molto disegnare.
Nel loro gruppo c’era anche una certa Elena; tendeva a dare le sue attenzioni solo ai fratelli e a Sara, ma pian piano ha iniziato a parlare anche con Stefano; continuava ad ignorare gli altri due membri del gruppo però, anzi sembrava quasi infastidita dalla loro iperattività.
E infine ha conosciuto Ivan, anche lui molto frenetico come bambino; in giardino passava la maggior parte del suo tempo intorno a Samuele, che spesso gli dava delle lezioni di arti marziali usando Andrea come manichino d’allenamento.
Parlando di Samuele, lui era un bambino molto calmo e pacato. Sembrava molto amico sia con Ivan che con Andrea, e parlava quasi sempre con loro due tendendo ad ignorare tutti gli altri. Malgrado ciò Stefano si è subito reso conto che Sam era anche il “leader” del gruppo perché era sempre lui a decidere in quale posto del giardino mettersi, e in generale era sempre lui quello in testa al gruppo, seguito da tutti gli altri; quando parlava tutti ascoltavano in silenzio, Mattia compreso.
E parlando di Mattia … beh, quel bambino era un disastro. Quando non tormentava Andrea era a tormentare qualcun altro. Era veramente fastidioso. Una volta aveva sottratto una palla ad un gruppo di ragazzi che stavano giocando con essa dicendogli che gliela avrebbe ridata solo se fossero riusciti a riprendersela con la forza … ovviamente nessuno di loro ci è riuscito, e solo l’intervento di un professore ha portato Mattia a riconsegnare la palla.
Infastidire gli altri bambini non era il suo unico passatempo, si divertiva anche a fare il bullo. Prendeva di mira quelli più isolati e solitari e si prodigava nelle tipiche attività che un bulletto di quell’età si ritrova a fare: spintoni, prese in giro, provocazioni, sputi e anche alcune forme di umiliazioni quali il sedersi sopra di loro se cadevano a terra, oppure il costringere i bambini più passivi a baciargli le scarpe; la cosa peggiore che ha fatto è stato il sottrarre la scarpa ad un bambino ed urinarci dentro, ridendo divertito nel vedere la sua vittima piangere indifesa.
<<Ma perché lo hai fatto?>> gli ha chiesto Stefano, che spesso lo seguiva di nascosto per vedere il cosa andasse a fare.
<<È divertente.>> è stata la risposta <<Mi fa passare la fame.>>
<<Lo sai che ora ti metteranno di nuovo in punizione, vero? Lo andrà a dire ai professori e finirai nei guai.>>
<<No, non lo farà.>>
<<Sì invece. E se continui così verrai sospeso di nuovo! O peggio … cacciato!>>
Mattia ha fatto spallucce <<Non m’importa. E comunque lui non va mai a piangere dai professori. Gli ho pisciato in faccia due volte e nessuno mi ha mai detto nulla. Gli ho anche sputato negli occhi. E l’ho picchiato un sacco di volte. Non lo ha mai detto a nessuno. A lui piace.>>
<<C … cosa?>>
<<Quando do la caccia agli altri bambini loro piangono e cercano di scappare. Però lui non lo fa. Quando mi vede si mette sempre dietro a quell’angolo, e quindi posso fargli quello che voglio senza essere visto, capito? Non urla neanche.>>
<<E quindi pensi che gli piaccia?>>
<<Sì. Conosco i miei giocattoli.>>
<<Ma perché dovrebbe piacergli?>> ha ribattuto Stefano <<Gli hai fatto la pipì addosso! È disgustoso, quello non piacerebbe a nessuno!>>
<<Magari gli piace il sapore.>>
<<No, secondo me è solo traumatizzato. E tu … tu sei veramente pessimo. La devi smettere di fare queste cose perché prima o poi finirai in guai seri. Potresti anche essere arrestato.>>
<<Arrestato?>>
<<Sì! Le persone come te vanno in galera. E poi … perché gli hai pisciato nella scarpa questa volta?>>
Mattia ha fatto spallucce <<Non lo so. Volevo fargliela in faccia come al solito ma … ho cambiato idea.>>
<<Bleah!>> ha commentato Stefano <<Sei davvero orribile.>>
<<Anche tu lo sei.>>
<<Eh? E perché?>> ha chiesto il ragazzo <<Io non faccio queste cose.>>
<<Però tutti i giorni mi segui di nascosto.>>
<<E quindi?>>
<<Quindi ti piace.>>
<<Cosa …? Non vedo il nesso tra le due cose.>>
<<Tu mi segui di nascosto per vedermi mentre domino queste puttanelle. Se non ti piaceva non mi seguivi. A Elena e Sara non piace, e loro non mi seguono infatti. Neanche a Ivan piace quello che faccio, e lui sta sempre con Sam. Tu mi segui invece, quindi ti piace.>>
<<I-io … no.>> ha ribattuto Stefano, sebbene con tono un po’ dubbioso <<Ti posso assicurare che non è così, io non ti seguo perché mi piace vederti fare il bullo.>>
<<E allora perché mi segui?>>
<<Perché … voglio vedere quello che fai.>>
<<E perché?>>
<<Ehm … perché … beh … sono curioso.>>
<<Nah.>> ha ribattuto Mattia con un sorrisetto malizioso <<Non mentire. Ammetti che ti piace e basta.>>
<<Ma io non sto mentendo! Te lo giuro!>> ha esclamato Stefano con più sicurezza <<Ti seguo perché … voglio solo capire, tutto qui.>>
<<Capire cosa?>>
<<Perché ti comporti così.>>
<<Te l’ho detto, è divertente. E mi fa passare la fame.>>
<<In che senso “ti fa passare la fame”? Hai appena pranzato! Come fai ad avere ancora fame?>>
<<Io ho sempre fame.>> si è limitato a dire il bambino, chiudendo così il discorso.
A Stefano non piaceva per davvero il suo atteggiamento; essendo appassionato di supereroi non c’era nulla di più fastidioso di essere amico di un bullo, però allo stesso tempo non riusciva a separarsi da Mattia… sapeva che la cosa migliore da fare sarebbe stato denunciare i suoi atti ai professori e poi tagliare i ponti con lui, però non riusciva a farlo.
Fortunatamente Mattia non se la prendeva solo con le persone.
Quando le sua tipiche vittime erano assenti o irraggiungibili, il bambino si concentrava su altro; la sua attenzione veniva spesso rapita dagli uccelli, che guardava come farebbe un gatto affamato; e quando anche gli uccelli mancavano, Mattia si chinava davanti ai formicai del giardino e si metteva a dar fastidio alle formiche. Quell’attività lo prendeva così tanto che delle volte passava l’intera pausa pranzo lì.
<<Ehi Tia … ma perché sei scalzo?>> gli ha domandato un giorno Stefano, avvicinandosi a lui.
<<Per sentire le formiche.>> è stata la risposta del bambino; era accovacciato davanti ad un formicaio, ed era a piedi nudi.
<<Uhm … cosa?>>
<<Con le scarpe non posso sentire le formiche.>> ha spiegato il bambino.
<<Eh …? Non capisco, che significa?>>
<<Le formiche.>> ha detto di nuovo Mattia, guardando Stefano <<Non posso sentirle se ho le scarpe.>>
<<Eh … va bene.>> si è limitato a dire Stefano a quel punto <<Quindi … che stai facendo?>>
<<Le annego.>>
<<Le anneghi?>>
<<Sì. Guarda.>> Mattia ha caricato un enorme bile, dopodiché lo ha sputato sopra un gruppo di formiche marcianti <<Visto? Annegano nella mia saliva.>>
<<Ugh …>>
<<È bello.>>
<<Belloi?>>
<<Sì. Pensa di essere così potente da sputare addosso a qualcuno e ucciderlo … solo con lo sputo. È come essere un dio. Non è bello?>>
<<Tia … quelle sono formiche.>>
<<E io sono così potente che le uccido con il mio sputo. Sono il loro dio.>>
<<Guarda che tutti possono farlo.>>
<<No.>>
<<Sì.>>
<<Tu non puoi.>>
<<Sì che posso.>>
<<Fallo allora.>> ha detto Mattia lanciandogli uno sguardo di sfida <<Ma se non ci riesci devi ammettere sono un dio.>>
Stefano ha sospirato e si è chinato affianco a lui sopra al formicaio <<Va bene … vediamo …>> e ha iniziato a sputare.
I primi sputi sono finiti a vuoto, mancando completamente i bersagli, e i pochi che hanno centrato delle formiche non sono risultati fatali.
Stefano è andato avanti fino a quando non si è reso conto di non poter più continuare.
<<Ehm …ho finito la saliva.>> ha ammesso con un po’ di vergogna dopo alcuni minuti, facendo scoppiare a ridere Mattia.
<<Visto?>> ha incalzato il bambino <<I miei sputi sono potenti. I tuoi sono deboli. E questo perché sono un fottuto dio … e tu no.>>
<<Ma stai zitto …>>
<<Dillo.>>
<<Cosa?>>
<<Che sono un dio.>>
Stefano in tutta risposta gli ha alzato il dito medio, cosa che però ha fatto sorridere leggermente Mattia.
<<Devo fartelo dire a forza?>>
Stefano a quel punto ha sospirato alzando gli occhi al cielo <<Va bene … sei un dio. Il dio degli sputi sulle formiche.>>
Mattia ha ridacchiato divertito <<Bravo bimbo.>> gli ha detto <<E ora vuoi vedere il potere di questo super potente dio?>> ha continuato il bambino alzandosi in piedi e flettendo i muscoli in modo teatrale.
<<No …?>>
<<Ho dato a queste formiche cinque minuti per sacrificarmi la loro regina.>> ha continuato Mattia ignorando la risposta dell’amico <<Non lo hanno fatto. Vanno punite.>>
<<E cosa farai, oh possente divinità?>> gli ha dato corda Stefano <<Le calpesterai a morte?>>
<<No! Non sono degne di toccarmi. Le farò annegare tutte. Sarà un divilio universale.>> e detto ciò Mattia si è aperto la cerniera dei pantaloni.
<<O mio Dio, Tia …>> ha commentato Stefano con tono quasi esasperato, intuendo quello che voleva fare.
<<Esatto. Sono il tuo dio. E anche il loro.>> ha ridacchiato il bambino poco prima di iniziare ad urinare proprio dentro al formicaio.
Stefano ha osservato la scena con una smorfia leggermente disgustata, però è rimasto sorpreso dall’odore dell’urina del bambino: era una versione distorta, acida e pungente del suo odore corporeo, e per tanto era un odore tanto sgradevole quanto invitante, da una parte fastidioso ma dall’altra buono.
<<Guarda quanto fumo!>> ha esclamato Mattia dopo essersi richiuso i pantaloni <<La mia pipì è così calda che le probabilmente sciolte. Ho praticamente pisciato lava, come un vero dio.>>
<<È normale che la pipì sia calda, Tia.>> ha commentato Stefano alzando lo sguardo verso il suo amico.
<<Nah. La mia pipì è più calda della tua. La mia può distruggere un intero formicaio. E può uccidere anche le piante. La tua è solo acqua colorata. La mia è più forte.>>
Stefano a quel punto ha sospirato nuovamente e si è alzato <<Sai cosa? Hai ragione. La tua è più forte.>>
<<Lo so. Vuoi piangere ora?>> lo ha provocato il bambino con un sorrisetto malizioso.
<<No. Ora voglio solo tornare dagli altri, e infatti è proprio quello che farò.>>
<<No.>>
Stefano è rimasto un attimo interdetto da quella risposta data in modo così perentorio.
<<Come?>> ha chiesto, leggermente confuso.
<<No.>> ha ripetuto il bambino guardandolo dritto negli occhi con sguardo penetrante e sicuro.
<<Che vuoi dire …?>>
<<Che non vuoi tornare dagli altri. Vuoi stare con me.>>
<<E guardarti mentre sputi alle formiche? No grazie, ho di meglio da fare.>>
<<A te piace guardarmi. E qualunque cosa tu devi fare, la puoi fare qua.>> ha ribattuto Mattia <<Quindi ora ti siedi e rimani qua.>>
Il tono di Mattia era autoritario e il suo sguardo era carico di sfida, quindi Stefano è rimasto in silenzio in seguito alle sue parole, non sapeva bene cosa dire e come reagire: una parte di lui dava ragione al bambino, voleva rimanere anche solo per continuare a godere del suo profumo, ma un’altra parte non voleva dargliela vinta così facilmente, gli dava fastidio il tono arrogante con cui parlava e non voleva assecondare un bullo abituato a prendersi sempre quello che voleva.
<<P … perché?>> ha domandato alla fine Stefano <<Che vuoi da me?>>
<<Mi piace averti intorno. Mi piace come mi guardi.>> è stata la risposta <<Quindi siediti.>>
<<E cosa dovrei fare … guardarti e basta?>>
Mattia fa spallucce << A me basta quello.>>
<<Davvero?>>
<<Sì.>>
<<Ma perché? Che senso ha?>>
<<Alcuni sguardi sono freddi e danno fastidio. Mi fanno venire i brividi, oppure il prurito. Altri sguardi mi fanno arrabbiare. Alcuni invece sono caldi e rilassanti come un massaggio, e mi fanno stare bene.>> ha spiegato Mattia <<Il tuo mi piace. È uno di quelli che mi fa stare bene. Quindi ora ti siedi, e mi guardi mentre finisco di giocare con queste formiche.>>
Stefano non ha capito appieno le parole del bambino, però ha sospirato e ha deciso di accontentarlo ancora una volta.
Il suo nuovo gruppo di amici a prima vista sembrava normale, ma Stefano si è reso conto fin da subito che non era affatto così.
Prima di tutto c’era l’odore corporeo dei fratelli, quel leggero profumo frizzante e assuefante era sempre presente intorno a loro. Non se ne andava mai a differenza degli odori e dei profumi delle altre persone, era sempre percepibile, e Stefano ha iniziato a pensare che quell’odore fosse una specie di droga perché più ne respirava più ne voleva … creava una vera e propria dipendenza.
E poi c’era la questione delle caramelle verdi.
Samuele molto spesso feriva Andrea nell’usarlo come manichino d’allenamento, e anche Ivan rimaneva ferito durante le loro lezioni; nell’insegnare a entrambi una presa di sottomissione chiamata “kimura”, Samuele un giorno aveva rotto a quei due un braccio … braccio che dopo la scuola era tornato normale però.
Oltre a ciò sia Ivan che Andrea si allenavano dando dei pugni ai muri della scuola a piena forza, ferendosi e facendo sanguinare le nocche ogni pomeriggio, ma sempre dopo la scuola le loro mani erano del tutto guarite.
Stefano ha iniziato a collegare quelle guarigioni miracolose con le caramelle verdi che Samuele dava ai due bambini al termine della pausa pranzo, e ne ha avuto la conferma quando un giorno ha indagato facendo delle domande al bambino.
<<È dirina.>> è stata la risposta di Samuele.
<<Dirina?>>
<<Sì. È una cosa che coltivo a casa.>>
<<Che … coltivi?>>
<<Sì.>>
<<Wow, ehm … quindi questa “dirina” è una pianta?>>
<<Più o meno.>>
<<Ma sembra una caramella.>>
<<Lo so.>>
<<E … beh …dove si compra questa pianta?>>
<<Non si può comprare. Perché lo chiedi, ne vuoi un po’?>>
<<Beh, ecco … vorrei provarla, sì. La dai sempre a quei due e sembra che sia buona.>>
<<È buona. Ma non posso dartela così.>>
<<In … in che senso?>>
<<La dirina fa male se la prendi normalmente. La devi prendere solo quando non ti senti bene, quando devi fare tanti sforzi, o quando devi dormire.>>
<<Ah … ehm … capisco.>>
<<Quindi se la vuoi devi prima allenarti come fanno loro.>> ha aggiunto Samuele indicando Andrea e Ivan, che erano impegnati a fare dei piegamenti in quel momento.
<<Cosa?>> ha detto Stefano con chiara svogliatezza <<Non c’è un altro modo?>>
Samuele ci ha riflettuto un attimo <<Beh, se vuoi puoi fare il sacco da boxe.>>
<<Eh? E come si fa?>>
<<Devi appoggiarti a un muro, stare in piedi e stare fermo. E cercare di non urlare.>>
<<Fammi indovinare, poi mi prenderai a pugni … giusto?>>
<<Sì.>>
<<Non mi sembra una gran cosa da fare …>>
<<Queste sono le regole. Non posso darti la dirina se prima non ti fai male, quindi o ti alleni come loro o fai il sacco da boxe. Oppure non te la do.>>
<<Posso … posso farmi male anche in altri modi. Tipo … mi posso fare un taglio sulla mano. Va bene lo stesso, no?>>
<<Sì. Però voglio divertirmi.>>
Stefano non aveva un gran voglia di farlo, però era talmente curioso di riprovare per la seconda volta la dirina che ha accettato quell’assurda richiesta.
Si è appiccicato ad un muro, ha chiuso gli occhi, dopodiché si è fatto prendere a pugni ripetutamente da Andrea e Ivan.
Essendo due bambini di dieci anni i loro colpi erano particolarmente imprecisi e leggeri, e la pancia grossa e tonda di Stefano li incassava senza alcun reale sforzo; ha resistito per quasi dieci minuti, poi però Samuele ha deciso che fosse arrivato il suo turno, e Stefano è finito in ginocchio a piangere e vomitare in pochissimo tempo.
<<È stato bellissimo, dobbiamo rifarlo.>> gli ha detto Samuele poco prima della fine della pausa <<Comunque ecco qui la dirina, è tutta tua.>>
Stefano ha preso la caramella verde dalle mani del bambino, e il solo tenerla per le dita ha avuto un effetto strano su di lui … quella caramella era piacevole al tatto; toccarla era bello, rilassante e soddisfacente … dava le stesse sensazioni che gli aveva dato entrare in diretto contatto con la pelle di Mattia.
Stefano l’ha guardata con un misto di stupore e incredulità mentre resisteva con tutto sé stesso alla tentazione di buttarsela in bocca e ingoiarla senza neanche masticare; l’ha avvicinata al naso, annusandola e sentendo un odore simile a quello dei fratelli, dopodiché non ha resistito oltre e se la è buttata in bocca.
L’effetto è stato immediato: come la prima volta la sua bocca è letteralmente esplosa di gusto. Dolce, salato, acido, amaro … ogni parte della lingua si è attivata producendo il miglior sapore che Stefano abbia mai provato, un sapore indescrivibile e indimenticabile, un sapore che però è scomparso con la stessa velocità con cui è apparso.
Ingoiando la caramella infatti, Stefano ha portato quel sapore a spostarsi con essa dalla bocca alla gola; il bambino ha sentito la caramella scivolare lentamente fino allo stomaco nello stesso modo in cui sentirebbe una carezza andargli dal mento alla pancia, e una volta arrivata a destinazione l’ha sentita … agire.
Stefano non sapeva come descrivere quella sensazione, ma sapeva che la caramella era lì nel suo stomaco perché percepiva la sua calda presenza. Molto calda. Estremamente calda.
Incredibilmente calda.
Poco dopo averla ingoiata Stefano ha iniziato a sentirsi come se stesse … bruciando. Però quella sensazione non era dolorosa, anzi il dolore causato dai pugni si è rapidamente dissolto, il vuoto causato dal vomito si è riempito, l’energia persa gli è rapidamente tornata in corpo, e improvvisamente il ragazzo si sentiva così forte che non avrebbe avuto problemi a farsi colpire per altre dieci ore di fila da Samuele.
Stava andando a fuoco, ma in senso positivo.
<<W … WOW!>> ha esclamato dopo aver metabolizzato quello che era successo <<P …posso averne un’altra?>>
<<No.>> è stata la secca risposta di Samuele.
<<Ti prego! Farò tutto quello che vuoi! Mi allenerò insieme a loro due! Farò cento flessioni di fila! E puoi prendermi a calci anche fino a domani!>>
<<No.>>
<<Dai!>>
<<No. Devi aspettare che questa scompare.>>
<<In che senso?>>
<<Ora hai della dirina in corpo. Devi aspettare che se ne vada. Appena va via, posso dartene un’altra.>>
<<Davvero?>>
<<Sì. Ma non lo farò. La dirina va via dopo cinque ore, e non ne ho un’altra da darti per oggi.>>
Samuele aveva ragione; l’effetto della dirina è durato per circa cinque ore, e in quelle ore Stefano ha sperimentato un mondo completamente diverso da quello a cui era abituato.
L’aria era più calda e buona del solito, l’ossigeno sembrava godere di un profumo che fino a quel momento non aveva mai sentito; i suoi vestiti erano all’improvviso diventati soffici e morbidi al tatto, così come ogni altra cosa che toccava, dalle matite ai banchi della scuola; ogni battuta, anche quella più stupida, era più divertente da sentire mentre la noia era assente anche durante i momenti più silenziosi e impegnativi di quelle ultime ore scolastiche.
Le differenze che Stefano ha notato non erano solo esterne però, ma anche interne; non si è mai fatto distrarre da un singolo pensiero intrusivo durante l’effetto della dirina, parlava con voce più decisa e sicura, ragionava in modo più fluido e pulito, e non provava fatica nello scrivere appunti sui suoi quaderni.
Guardandosi intorno Stefano aveva iniziato a notare cose che in genere ignorava, come ad esempio il disordine della classe, la sporcizia sul pavimento, oppure l’irregorabilità della camminata di alcune persone … il suo cervello aveva iniziato anche a tenere conto del ritmo vocale dei suoi amici, del loro tono, dei loro sguardi, delle loro piccole movenze.
Presto Stefano ha iniziato a fare comparazioni tra sé e gli altri. Ha iniziato a fare la lista delle persone che erano più basse di lui, più magre, più deboli, più sporche … e aveva iniziato a desiderare di ampliare quella lista. Aveva iniziato a desiderare di essere lui il migliore, in … tutto praticamente.
Colto da quest’improvvisa sensazione di competitività si è addirittura offerto volontario per un’interrogazione solo per la voglia di mettersi alla prova e dimostrare a sé stesso e agli altri la sua intelligenza, e il risultato è stato incredibile: a ogni domanda del professore la risposta gli arrivava in testa con rapidità e naturalezza; il suo cervello non solo sembrava ricordarsi di ogni singola parola detta dal professore durante le lezioni, ma anche di ogni singola parola vista sui libri di testo, e usando quei ricordi produceva delle risposte articolare, argomentate e fluide.
Stefano ha preso un voto massimo, il primo che ha mai preso in un’interrogazione orale, nonché il voto più alto che fosse mai stato dato ad un alunno della sua classe durante l’intero anno scolastico.
Si è sentito incredibilmente … bene. Non per il voto, ma perché sapeva di aver superato i suoi pari. Sentiva i loro sguardi su di sé così come avrebbe sentito i raggi del sole sulla sua pelle, ed erano sguardi … squisiti. Sapevano di ammirazione, di invidia, di incredulità, di sorpresa …
Stefano non capiva il come fosse possibile dare un sapore allo sguardo di una persona, eppure in quel momento lo stava facendo, stava dando un sapore a ogni singolo occhio puntato su di lui, e si stava gustando quel sapore come si sarebbe gustato un gelato.
“Alcuni sguardi sono rilassanti come un massaggio” aveva detto Mattia, e finalmente Stefano lo capiva. Essere guardato con ammirazione era bello, rilassante, soddisfacente … essere guardato con invidia era piccante e pungente, ma comunque molto piacevole; essere guardato con timore e paura era freddo e secco, ma anche in quel caso il sapore poteva essere buono.
Alcuni sguardi erano insopportabili però, e la cosa brutta era che Stefano li sentiva anche se non li vedeva. Se un bambino dietro a lui lo guardava, lui se ne accorgeva per qualche strana ragione, percepiva lo sguardo sulla sua pelle e il sapore di quello sguardo sulla sua lingua, ed era costretto a subirlo senza poter fare nulla per evitarlo o ignorarlo.
Fortunatamente per lui la maggior parte degli sguardi dei suoi compagni di classe erano piacevoli oppure del tutto neutrali e insapore.
Terminata la scuola e tornato a casa Stefano ha notato che anche lì le cose sembravano diverse: i colori erano più accesi e allegri, le forme geometriche della sua camera erano calde e rassicuranti, ogni singolo elemento gli dava pace e un vago senso di felicità … ma niente di tutto ciò lo ha distratto dal suo obiettivo, ovvero fare i compiti non solo per il giorno successivo ma per l’intera settimana.
Ormai aveva deciso: lui doveva essere lo studente modello della classe. Da quel momento in poi avrebbe fatto di tutto pur di assaporare nuovamente lo sguardo carico di orgoglio e sorpresa del professore, e non vedeva l’ora di assaporare lo sguardo anche degli altri professori una volta mostrato anche a loro la sua bravura.
Spinto da questo desiderio si è seduto sulla sua scrivania, ha preso libri e quaderni, e in soli venti minuti ha macinato tutti gli esercizi di matematica, letteratura e lingue straniere che aveva accumulato nel corso degli ultimi giorni.
Terminato di fare i compiti si è sentito in dovere di fare qualcos’altro, qualcosa di utile per lui e la sua famiglia … quindi al posto di mettersi a giocare o a leggere i suoi fumetti ha dato una riordinata alla sua stanza, partendo dal letto e finendo con il pulire il pavimento con la scopa.
Il disordine era rumoroso e stonato, l’ordine invece era una melodia rilassante e pacifica … ma non gli bastava, così è andato in cucina e ha lavato tutti i piatti presenti sul lavandino, ha spolverato molti dei mobili del salotto, e ha addirittura lucidato le finestre utilizzando le pagine dei giornali come straccio, così come vedeva fare la madre.
Ma ancora non gli bastava. C’era qualcosa che gli dava fastidio. Ma cosa?
Si è guardato allo specchio, e ha notato che il suo corpo era troppo … stonato. La pancia era larga, le braccia erano strette, le gambe erano un misto … no, non andava bene. Doveva cambiare corpo, il suo produceva un rumore troppo fastidioso … doveva appiattire la pancia, allargare le braccia, e riequilibrare le gambe, ma come?
Mentre ci pensava la sua attenzione è stata presa da una notifica che gli è arrivata sul cellulare: qualcuno lo aveva sfidato ad un duello in un gioco online; accadeva spesso, e lui poteva benissimo ignorare la notifica … ma non lo ha fatto.
Ha acceso il gioco, ha accettato la sfida, e ha vinto. Stravinto.
Vincere lo ha fatto sentire bene, fin troppo bene.
Ha cercato altri avversari, e ha vinto ancora. E ancora. E ancora. E ad ogni vittoria il suo corpo vibrava di piacere, e il piacere aumentava e si accumulava sempre di più, e tutto questo è andato avanti fino a quando le sue mutande non si sono bagnate.
Stefano sapeva cos’era successo, così è corso in bagno a cambiarsi e lavarsi; il suo organo genitale aveva avuto un’erezione e poi un’eiaculazione, e il tutto senza che il ragazzo si fosse esposto a immagini o pensieri erotici.
Finito di lavarsi l’organo genitale di Stefano era ancora duro, e non ne voleva sapere di rilassarsi. Il ragazzo poteva muoverlo però, alzarlo e abbassarlo come se fosse un dito … era la prima volta che accadeva.
Tornato in camera Stefano è tornato a riflettere sul come sistemare il suo corpo.
Doveva allenarsi e seguire una dieta precisa, ma proprio quando si è seduto sulla scrivania con l’intenzione di cercare su internet dei metodi d’allenamento adatti alla sua età … l’effetto della dirina è finito.
Tutta quell’energia, quella concentrazione, quella determinazione, la forza di volontà … è tutto evaporato in un istante; Stefano si è ritrovato improvvisamente senza fiato e senza forze.
La testa ha iniziato a pulsare dal dolore, ogni singolo muscolo ha iniziato ad irrigidirsi, lo stomaco è stato attanagliato da una fame violentissima, e una pesantissima sensazione di stanchezza lo ha avvolto nel mentre che tutto il mondo tornava ad essere … grigio.
I colori si erano spenti, l’aria era tornata fredda e pungente, i vestiti avevano smesso di essere soffici e la sua camera aveva smesso di essere così … accogliente.
Ogni cosa era tornata “normale”, e in tutto ciò Stefano è riuscito solo a buttarsi sul letto. Non aveva sonno, ma non aveva neanche la forza di fare altro; i muscoli erano troppo pesanti e addolorati per muoversi, mentre il suo cervello sembrava essersi esaurito, dato che il solo pensare a qualcosa di complesso causava affaticamento fisico e peggiorava la sua emicrania.
Stefano è quindi rimasto immobile sul letto a patire la fame e quella dolorosa fiacchezza fino a quando sua sorella non è entrata in camera per avvertirlo che la cena fosse pronta.
<<Ehi fagottino … stai bene?>> ha domandato lei avvicinandosi al fratello.
<<N … no …>>
<<Cos’hai?>>
<<Non lo so … sono stanco. Mi fa male tutto.>>
<<Oddio … prendo il termometro?>>
<<No.>>
<<Chiamo mamma allora, aspetta.>>
<<No, no. Sono solo stanco.>>
<<Solo stanco? Parli come se avessi corso in una maratona!>> ha commentato lei <<Mamma ha detto che hai lavato i piatti oggi. Non dirmi che sei stanco per quello!>>
<<Forse …>>
Lei nel sentire quelle parole è scoppiata a ridere divertita <<O mio Dio … Dai, ti porto la cena in camera ma se poi non ti passa lo diciamo a mamma. Va bene? E forse ti conviene prenderti anche un’aspirina, non si sa mai.>>
<<No, niente aspirina … sto bene …>>
<<Va bene, va bene.>>
Da quel momento in poi Stefano ha deciso di evitare la dirina.
Era giunto Maggio.
La scuola stava volgendo al termine, e per la prima volta Stefano ha percepito l’arrivo dell’estate come un evento negativo e inevitabile. Quello era l’ultimo anno delle medie, finito quello avrebbe dovuto per forza cambiare scuola e gli amici che si era fatto fuori dalla classe erano di tre anni più piccoli di lui, e questo significava solo una cosa: finita la scuola Stefano non li avrebbe più rivisti.
Quella consapevolezza stava lentamente e silenziosamente danneggiando il suo umore, e un pomeriggio questa sua malinconia è stata più evidente del solito.
Era seduto a gambe incrociate a terra, schiena appoggiata ad un muro dell’edificio scolastico; era da solo, ma era come se non lo fosse perché Sara ed Elena erano sedute a poca distanza da lui a discutere di cose che a lui non interessavano, mentre Samuele e gli altri due erano in piedi ad allenarsi davanti a lui.
Aveva in mano il telefono ma non lo stava guardando; il suo sguardo era rivolto verso il cielo blu mentre la sua mente era sommersa di pensieri incerti, che andavano dall’ansie dovute all’esame di terza media all’indecisione sul tipo di scuola da prendere una volta finita quella.
Mentre rifletteva sul suo futuro ha notato qualcosa di insolito volare in aria: un insetto oblungo, troppo piccolo per essere un’ape, però troppo grande per essere una zanzara, e troppo fine per essere una mosca.
È stato in quel momento che Samuele è improvvisamente apparso nel suo campo visivo, facendolo quasi spaventare.
<<Ehi.>> gli ha detto con il suo tipico volto quasi inespressivo <<Che ti succede?>>
<<E-eh?>> è stata la confusa risposta di Stefano <<In … che senso?>>
<<Sei carino quando sei triste, ma voglio sapere perché lo sei.>>
<<Cosa? Triste? Io?>>
<<Sì. Tu.>>
<<Ma non sono triste.>> ha detto Stefano sforzandosi di sorridere <<Fa solo caldo.>>
Samuele ha sospirato <<Mi da fastidio quando mi dicono le bugie, quindi non farlo. Dimmi che è successo. È morto qualcuno?>>
<<Cos-? No!>> ha detto Stefano mettendosi a ridere genuinamente.
<<Qualcuno ti ha fatto qualcosa?>>
<<No, tranquillo. Sto bene.>>
<<So che stai bene. Ma so anche che sei triste. E non so se posso aiutarti … ma se posso, voglio farlo.>>
Stefano è rimasto colpito da quelle parole, molto di più di quanto si sarebbe aspettato; nessuno dei suoi nuovi amici si era mai accorto o anche solo preoccupato delle sue emozioni, e quell’inedito evento gli ha decisamente scaldato il cuore, abbastanza da spingerlo ad aprirsi.
<<Beh … tra poco finisce la scuola. Dovrò fare l’esame. Sono un po’ in ansia per quello.>>
<<Ah, capisco. Sei bravo a scuola?>>
<<Un po’.>>
<<E allora di cosa ti preoccupi?>>
<<Non lo so … è solo che …>> ha sospirato <<Credo che mi mancherà questo posto.>>
<<Davvero? Ma è noioso stare qui.>>
<<Sì ma … delle volte anche stare a casa da soli è noioso.>>
<<Tu stai a casa da solo il pomeriggio?>>
<<Sì. E non ho tante cose da fare, quindi delle volte è noioso.>>
<<Capisco. Io il pomeriggio ho tantissime cose da fare. Non mi annoio mai. Ma a scuola mi annoio sempre, quindi non mi mancherà questo posto.>>
<<Sì, immagino … sei un fotomodello, avrai molti impegni.>>
Samuele ha aggrottato la fronte <<Un fotomodello?>>
<<Sì … ehm, lo sei, giusto? Mattia mi ha detto questo.>>
<<Davvero? E che altro ti ha detto?>>
<<Beh … niente, in realtà. Niente d’importante. Mi ricordo solo che aveva detto di fare judo, karate … tutte queste cose qui. Anche tu le farai immagino, quindi sarai sempre impegnato il pomeriggio.>>
<<Non sono così impegnato in realtà. Le foto non le faccio spesso, mentre mi alleno durante la notte. Il pomeriggio vado a caccia coi miei fratelli di solito.>>
<<A … caccia?>>
<<Sì. Ma non è una cosa obbligatoria. Non lo faccio sempre.>>
<<E dove andate a cacciare?>>
<<In città.>>
<<Davvero?>> ha esclamato Stefano <<E cosa cacciate in città?>>
<<Persone.>>
<<P … eh?>>
<<Se vuoi un giorno ti farò vedere. Sono bravo a cacciare. Anche Mattia è bravo. Delle volte andiamo insieme.>>
<<Ma … ma in che senso cacciate persone?>>
<<Nel senso che le cerchiamo, le troviamo, le leghiamo e le portiamo a casa.>>
<<P … perché?>>
<<Dipende. Servono a tante cose.>>
Stefano non sapeva cosa dirgli, non sapeva neanche se fosse serio o no, ma fortunatamente il suono della campanella ha interrotto il discorso.
<<Senti, fai finta di non aver sentito.>> ha tagliato corto Samuele <<Comunque mi da fastidio vederti triste. Quindi questo pomeriggio troverò un modo per farti felice, va bene?>>
<<Questo pomeriggio?>>
<<Sì. Hai impegni?>>
<<Beh … no.>>
<<Perfetto.>>
Samuele quindi ha fatto qualcosa di strano: si è leccato con intensità un pollice, dopodiché ha appoggiato con forza quel pollice sulla fronte di Stefano.
<<Ehi!>> ha protestato il ragazzo ritraendosi, ma ormai il danno era fatto perché la saliva di Samuele si era come appiccicata sulla sua pelle; Stefano ha provato a strofinarsi e in seguito ha anche provato a lavarsi, eppure la sensazione di avere qualcosa appiccicato sulla fronte è rimasta.
Al termine delle ore di lezione Stefano ha sperato di incontrare Samuele all’uscita della scuola per fargli presente che la sua saliva gli stava ancora dando fastidio, ma come ogni altro giorno lui e il fratello sono saliti sullo scuolabus e sono andati via quasi subito.
Il ragazzo è quindi tornato a casa con quel vago fastidio sulla fronte; ha provato a lavarsi usando del sapone e una spugna, ma quella sensazione non è andata via, si è solamente alleggerita.
Alla fine Stefano ha deciso di ignorarla; non gli dava fastidio e se non ci pensava neanche ci faceva caso, quindi si è messo a giocare fino a quando la fame lo ha spinto ad andare a prepararsi la merenda; aveva visto su internet dei video sul come farsi dei biscotti al burro da solo, e dato che in casa c’erano tutti gli ingredienti per prepararli aveva voglia di provarci.
A Stefano piaceva cucinare, quindi ha tirato fuori farina, uova, piatti, ciotole, ed è stato proprio in quel momento che è stato interrotto da un inaspettato evento.
<<Ehilà. Che combini?>>
Il ragazzo ha urlato per lo spavento nel sentire quelle parole; la sorella era fuori con degli amici e i genitori erano ancora a lavoro, quindi era sicuro di essere solo in casa e di certo non si aspettava di ritrovarsi Mattia alle spalle.
Eppure era lì, in piedi all’entrata della cucina con le mani in tasca, un espressione rilassata e due occhi curiosi.
<<Che … che … cosa …? Tia? Che diavolo ci fai qui?>>
<<Samuele mi ha detto che mi stavi aspettando.>> è stata la risposta del bambino mentre avanzava lentamente all’interno della cucina.
<<M … ma tu … tu come sei … che sta succedendo?>>
<<Calmati bello.>> ha detto Mattia raggiungendolo <<Sono entrato dalla finestra della tua camera.>>
<<COSA? E COME?>>
<<Era aperta.>>
<<Ma sono al primo piano!>>
<<Mi sono arrampicato.>>
Stefano è rimasto per diversi attimi a guardare Mattia con aria sconvolta, e il bambino se ne è approfittato per indagare sul lavoro dell’amico, che stava per iniziare a fare l’impasto dei biscotti.
Ha osservato la farina, poi il mestolo, lo zucchero e infine le uova; ne ha presa una e se l’è gettata in bocca senza un briciolo di esitazione, ingoiando l’uovo intero senza neanche masticarlo.
<<E-ehi!>> ha protestato subito Stefano allontanando dalle mani del bambino le altre uova <<Queste mi servono!>>
<<Cosa stai cucinando?>> ha domandato a quel punto Mattia.
Stefano ha sospirato con esasperazione prima di rispondere <<Biscotti.>>
<<E metti le uova nei biscotti?>>
<<Certo!>> ha ribattuto Stefano con un pizzico di irritazione dovuta dall’ignoranza della domanda <<È così che si fanno.>>
<<Uhm … va bene. Se lo dici tu.>>
<<E comunque …>> ha continuato il ragazzo cercando di fare un po’ di ordine nella confusione della sua testa <<come fai a sapere dove abito? Non te l’ho mai detto.>>
<<Ho seguito il marchio.>>
<<Eh?>>
<<Il marchio.>> Mattia ha indicato la fronte di Stefano <<Mio fratello ti ha marchiato questo pomeriggio. Ho seguito quello.>>
<<Il … la … aspetta, dici quella cosa che ha fatto col pollice?>>
<<Esatto. In genere marchiamo le cose con la pipì. O il sudore. Ma possiamo usare anche la saliva.>>
<<Che …>> la confusione di Stefano era solo aumentata <<che cosa significa?>>
Mattia a quel punto ha sospirato <<Lascia perdere.>>
<<No, voglio sapere! Che significa che “marchiate le cose con la pipì”?>>
<<Uhm … forse te lo dirò. Un giorno.>> ha risposto Mattia avvicinandosi nuovamente a Stefano <<Comunque … Sam mi ha detto che sei un po’ triste perché di pomeriggio non hai niente da fare, quindi … ti va se giochiamo un po’?>>
<<Oh, ehm … io stavo facendo i biscotti, non pensavo che saresti venuto, se me lo avessi detto io->>
<<Non preoccuparti.>> ha detto a quel punto Mattia aprendo l’acqua del rubinetto e lavandosi le mani <<Ti aiuto a farli.>>
<<Tu … tu sai come si fanno?>>
<<Me lo dirai tu.>>
Mattia era una distrazione assurda. Stefano non era abituato ad avercelo intorno in quel modo, lui non passava molto tempo con quel bambino, lo vedeva solo in giardino dopotutto, e solo per mezz’ora. Averlo in casa significava poterci parlare senza alcuna restrizione temporale, e poterlo osservare da molto più vicino.
Quel bambino lo stava conquistando, e per quanto superficiale potesse sembrargli Stefano sapeva che la colpa era l’aspetto fisico.
Il ragazzo non sopportava il comportamento di Mattia infatti: era un bullo, era strano, e la maggior parte delle volte diceva cose senza senso; se ne andava in giro scalzo a urinare nei formicai o in faccia ad altri bambini, ed era fastidiosamente ultra competitivo.
In poche parole Mattia era un bambino che avrebbe sicuramente trovato antipatico e anche un po’ inquietante, se solo non avesse avuto un volto così angelico, un corpo così squisitamente scolpito, ed un odore così dannatamente assuefante.
Stefano si è così ritrovato a guardare quel bambino per molto più tempo del dovuto. Ogni volta che poteva spostava il suo sguardo su di lui, sui suoi capelli rossi, sulle braccia muscolose, sui polpacci tondi, sui calzini rossi … e Mattia lo sapeva. Amava farsi guardare dopotutto, lo aveva già messo in chiaro.
Nell’osservarlo Stefano ha iniziato a notare diverse stranezze però.
Quando Mattia si è lavato le mani per iniziare a preparare i biscotti non se le è mai asciugate ad esempio, eppure dopo essersele lavate le mani apparivano asciutte come se non si fossero mai bagnate; questa cosa è stata notata anche quando Mattia si è messo a lavorare con la farina, che per qualche strano motivo non rimaneva appiccicata sulla pelle delle sue mani.
Dopo aver fatto l’impasto Stefano aveva le mani sporche mentre Mattia le aveva come se non avesse mai preso parte al lavoro.
Stefano ha osservato tutto ciò in silenzio, indeciso se farglielo presente oppure no.
Alla fine non si è trattenuto.
<<Sei strano.>> ha detto dopo aver messo i biscotti nel forno.
<<Cosa?>> è stata la risposta di Mattia, che nel frattempo si era messo comodo sul tavolo della cucina.
<<Tu sei strano.>> ha ripetuto Stefano.
<<Oh … okay.>>
<<No, non è okay.>> ha continuato Stefano <<Le tue mani …hanno qualcosa che non va.>>
<<Le mie mani?>> Mattia se l’è guardate con aria un po’ perplessa <Perché? Sono … mani.>>
<<Sì, ma non si sporcano.>>
<<Che intendi dire?>>
<<Guarda!>> Stefano ha allungato le sue mani <<Visto? Questa è farina! È rimasta qui e per toglierla la devo lavare via con l’acqua. Perché a te non succede?>>
<<Beh, a me non piace lo sporco quindi non faccio attaccare nulla sulla mia pelle.>>
<<Come?>>
<<Ehm …>> Mattia si è grattato la testa <<non lo so.>>
<<Non lo sai?>>
<<So solo che se voglio le cose rimangono attaccate, altrimenti no.>>
<<Se “vuoi”?>>
<<Sì. Guarda.>> Mattia tocca con l’indice un cucchiaino presente sul tavolo, e sollevando il dito se lo trascina dietro come se quel cucchiaino si fosse incollato alla sua pelle <<Visto?>>
<<Oh … Dio …>> ha commentato Stefano avvicinandosi per guardare meglio quel fenomeno <<ma che …? Come fai? È tipo … elettricità statica?>>
Mattia fa spallucce <<Non lo so. So solo che se non voglio che le cose rimangono attaccate posso fare questo.>> e subito dopo aver parlato il cucchiaino si stacca dal suo dito e cade sul tavolo.
<<Oh mio Dio … ma che diavolo …?>> Stefano lo recupera e lo studia con attenzione per capire se ci fosse qualcosa di appiccicoso sopra, ma il cucchiaio era perfettamente pulito <<Incredibile … e puoi farlo con tutto quello che tocchi?>>
<<Certo.>> è stata la risposta di Mattia <<In tutto il corpo.>>
<<In tutto il corpo?>> ha ripetuto Stefano, cosa che lo ha fatto ripensare a tutte le volte che il bambino camminava scalzo nel giardino della scuola con dei piedi che erano sempre perfettamente puliti <<Oddio …e puoi farlo anche con l’acqua?>>
<<Ovvio.>>
<<Posso … posso vederlo? Per favore!>>
Mattia ha fatto spallucce <<Va bene, se proprio vuoi …>> e detto ciò è saltato giù dal tavolo ed è andato al lavandino per lavarsi le mani; Stefano ha osservato da vicino la scena, e quando il rubinetto è stato chiuso ha visto con meraviglia l’acqua scivolare via dalle mani del bambino senza mai fermarsi o lasciarsi alle spalle delle gocce … è stata una visione incredibile e surreale.
<<W … wow. Posso … toccare?>>
<<Solo perché sei tu.>> ha risposto Mattia allungandogli una mano, e Stefano non ha esitato a stringerla per osservarla da ancora più vicino; era calda, profumata, liscia, morbida, soffice, perfettamente asciutta e dolce …
Quella sensazione ha riportato Stefano alla notte in cui Mattia gli aveva camminato sopra. A quanto pare entrare in diretto contatto con la pelle di Mattia gli faceva ancora quello strano effetto.
<<Già che ci sei puoi anche baciarla.>> ha detto a quel punto Mattia.
Nel sentire quelle parole Stefano è ritornato al presente, e si è reso conto che stava maneggiando la mano di Mattia nello stesso modo in cui si rigirerebbe tra le mani un preziosissimo gioiello … quindi ha lasciato andare la mano e ha scosso la testa.
<<Scusa.>> ha detto <<Stavo solo … pensando.>>
<<Pensando a cosa?>>
<<Al fatto che sei davvero strano.>>
<<Non sono strano.>> ha ribattuto Mattia <<Tutta la mia famiglia è come me.>>
<<E quanto è grande la tua famiglia? Siete tu, Samuele, e poi?>>
<<Uh … è molto grande.>>
<<Hai altri fratelli? Cugini?>>
<<Sì. Tanti.>>
<<Tanti?>>
<<Sì.>>
<<Quanti esattamente?>>
<<Uh … tanti.>>
Stefano ha aggrottato la fronte <<Tanti …>> ha ripetuto con tono più riflessivo.
<<Sì. Tanti.>>
I due sono rimasti a guardarsi per qualche secondo in silenzio, poi Mattia ha sorriso divertito <<Sei carino quando mi guardi così.>>
<<Uh … ehm … grazie?>>
<<La tua stanza è disordinata comunque.>> ha continuato a parlare Mattia <<Vado a sistemarla.>>
<<E-eh? Cosa?>>
<<Non mi piace il disordine. Questa cucina è un po’ accettabile. Ma la tua stanza no, quindi vado a sistemarla. Tu finisci coi biscotti.>> e detto ciò il bambino è uscito dalla cucina, lasciandosi alle spalle uno Stefano più perplesso e confuso che mai.
Per quando i biscotti erano pronti per essere tirati fuori dal forno, la stanza di Stefano era diventata irriconoscibile; il letto, la scrivania, la libreria, le scarpe, il pavimento, lo zaino, i giocattoli … tutto era stato riordinato in maniera così precisa che quella sembrava una stanza del tutto diversa, una camera uscita fuori da una rivista immobiliare, e Mattia l’aveva trasformata in quel modo in pochissimo tempo.
<<Così è molto meglio, no?>> gli ha detto Mattia dopo aver finito il suo lavoro <<Ora ha un suono più carino. C’è ancora un sacco di polvere qui, tipo quella sotto al letto o sopra all’armadio … ma posso ignorarla. Per ora. La prossima volta che vengo toglila però. Va bene? Mi da fastidio.>>
“Suono più carino …” quelle parole hanno riportato Stefano al giorno in cui ha provato la dirina, e finalmente il ragazzo stava iniziando a comprendere quel bambino.
I due sono tornati in cucina per recuperare i biscotti dal forno, e anche quella è stata un’ottima occasione per Mattia di mostrare a Stefano il quanto non fosse normale, dato che il bambino si infilava in bocca i biscotti a gruppi di tre e li ingoiava senza neanche masticare.
Più lo guardava più Stefano si convinceva di non avere davanti a sé un reale essere umano, e ha iniziato a chiedersi se in realtà Mattia non fosse un robot … o peggio, un alieno.
<<Tu non mangi?>> ha domandato il bambino dopo aver terminato i suoi biscotti in meno di mezzo minuto.
<<Oh .. ehm … sì ma non sono così veloce.>> è stata la risposta di Stefano.
<<Va bene>> Mattia ha quindi allungato il braccio e con un rapido gesto ha rubato uno dei biscotti di Stefano, infilandoselo in bocca e facendolo sparire.
<<Ehi!>> ha subito protestato il ragazzo.
<<Cosa?>>
<<Non farlo..>>
Mattia ha ridacchiato <<Impediscimelo.>> e detto ciò ha nuovamente allungato un braccio verso i biscotti, braccio prontamente intercettato da Stefano che prendendolo per un polso ha fermato il furto e guardato il bambino dritto negli occhi.
<<No.>> ha detto con tono deciso.
<<No?>>
<<No.>> ha ripetuto Stefano, lasciando andare il polso del bambino.
<<E cosa succede se te li rubo?>>
Stefano ha sospirato <<Se hai ancora fame possiamo farne altri.>>
<<Non ne voglio altri. Voglio i tuoi.>> ha sorriso il bambino maliziosamente.
<<Perché?>>
<<Uhm …>> Mattia ci ha pensato un attimo, poi ha fatto spallucce <<non lo so.>> ha ammesso <<Voglio solo prenderti i biscotti.>>
<<Ma è stupida come cosa.>> ha commentato Stefano.
<<Non è stupida. È divertente.>>
Il ragazzo non sapeva bene cosa rispondere, così si è limitato a prendere un biscotto dalla sua ciotola ed assaggiarlo; il sapore era migliore di quanto si aspettasse, però non aveva molta fame e così ha passato la ciotola al bambino.
<<Prendi.>> gli ha detto.
Mattia ha osservato la ciotola, poi ha scosso la testa <<Mangiali tu.>>
<<Ma hai detto che li volevi.>>
<<No. Ho detto che volevo prenderteli.>>
<<Ma è la stessa cosa.>>
<<No.>>
<<Quindi non li vuoi?>>
<<Non più.>>
Stefano ha sospirato <<E poi dici che non sei strano …>> ha commentato.
A quel punto il silenzio è calato tra i due.
Il ragazzo non sapeva né cosa dire né cosa fare, quell’intero pomeriggio gli era sembrato assurdo e surreale; il bambino nel frattempo lo stava fissando con uno sguardo difficile da decifrare.
Stefano ha provato ad ignorare gli occhi di Mattia puntati su di sé il più che poteva, ma era veramente difficile, specie perché gli occhi di Mattia si coloravano di rosso ogni volta che entravano nella visuale periferica di Stefano, cosa che ha fatto sembrare al ragazzo di essere fissato da un fantasma più che da un bambino.
Si è infilato un altro biscotto in bocca, dopodiché si è voltato in direzione di Mattia per rompere quel silenzio … ma non sapeva cosa dire, così si è limitato a ricambiare lo sguardo del bambino.
<<Che c’è?>> ha chiesto quando non riusciva più a sopportare il silenzio.
<<Voglio giocare con te.>>
Stefano ha sospirato <<Fammi indovinare … vuoi combattere.>>
<<Sì.>>
<<Perché ti piace così tanto?>>
<<È bello rompere le cose e schiacciarle sotto ai piedi.>> è stata la risposta.
<<Quindi … vuoi rompermi?>>
<<Voglio schiacciarti sotto ai piedi, come ho fatto in montagna.>>
<<Beh, se è solo quello il motivo …>> Stefano ha esitato un attimo prima di parlare <<puoi … ehm, puoi farlo anche senza dover … sai, giocare alla lotta.>>
<<In che senso?>>
<<Beh … ehm … s-se proprio ti piace, io … cioè a me non … non da molto fastidio che tu … ecco …>>
<<Stai cercando di dirmi che se voglio saltarti sopra posso farlo anche senza costringerti con la forza perché a te piace?>>
Stefano ha deglutito e spostato subito lo sguardo sulla sua ciotola di biscotti <<Più o meno …>> ha ammesso alla fine.
Mattia allora ha ridacchiato <<So che posso saltarti sopra quando voglio … sei la mia piccola troia, ricordi?>> ha detto <<Ma è più bello farlo a modo mio.>>
<<Cioé?>>
<<Picchiarti fino a quando non riesci più ad alzarti e poi usarti come trampolino.>>
<<Ehm … l’idea è carina ma … diciamo che non mi piace l’esecuzione.>>
Mattia ha inclinato la testa <<Perché?>>
<<Diciamo che non voglio essere picchiato …>>
Il bambino a quel punto ha sorriso con leggera malizia <<Sicuro?>>
<<Sicuro.>>
Gli occhi di Mattia hanno iniziato a brillare di una luce poco rassicurante <<Va bene. Quindi … Posso saltarti sopra?>>
Stefano ha esitato ancora prima di parlare; si sentiva la faccia in fiamme quindi era certo di essere arrossito <<Ehm … sì. Se vuoi.>>
<<E come vuoi che lo faccio?>>
<<In che senso?>>
<<Vuoi che lo faccio con le calze … o senza calze?>> ha domandato lui indicandosi i piedi.
<<C-cosa?>> ha esclamato Stefano <<Ma a me non importa! Io … a me non …>>
<<Sì che ti importa.>> ha ridacchiato Mattia <<Posso fartelo in tutti e due i modi se vuoi. Posso anche usare le scarpe, le ho lasciate sulla tua finestra.>>
<<Io … ehm … vorrei sapere più che altro il perché ti togli sempre le scarpe.>> ha chiesto a quel punto Stefano, cambiando così discorso.
<<Te l’avevo già detto.>>
<<Mi avevi detto che era per le formiche, ma qui non ci son formiche.>>
<<Le scarpe mi fanno diventare sordo dai piedi.>>
<<Eh …?>>
<<Io …>> Mattia si è bloccato, poi ha sospirato rumorosamente <<so che non capirai, ma io sento molte cose dai piedi. Ad esempio le vibrazioni del pavimento mi dicono quante persone ci sono in una stanza. O in una casa. E mi dicono anche quanto pesano, più o meno. Se mi metto le scarpe non riesco a sentire queste cose. Capito ora?>>
Stefano lo ha guardato con un’espressione a metà tra il perplesso e l’inorridito <<T … tu non sei umano, vero? Sei un alieno.>>
Mattia allora è scoppiato a ridere <<Sì che sono umano!>>
<<No, gli umani non “sentono” dai piedi.>>
<<Beh, si vede che gli altri hanno i piedi poco sensibili.>>
<<Oppure sei tu che sei un alieno.>>
<<Va bene.>> Mattia è balzato in piedi <<Andiamo in camera. Voglio saltarti sopra finché non esplodi.>>
Era l’ultimo giorno di scuola, e Stefano non poteva che esserne felice considerando la situazione in cui verteva il giardino.
Durante le ultime settimane infatti la scuola era stata invasa da una nuova specie di formiche, che erano più grandi di quelle normali e avevano anche la capacità di volare; inizialmente erano poche e facili da ignorare, ma più passava il tempo più il numero di bambini che se ne lamentava cresceva.
L’ultimo giorno di scuola è stato caratterizzato proprio da queste formiche, che ormai era possibile trovarle anche dentro le classi; i professori hanno rassicurato gli alunni che durante le vacanze estive le formiche sarebbero state uccise.
A causa di quelle bestie però la classe di Stefano si è rifiutata di passare la pausa pranzo in giardino, cosa che un po’ ha rattristato il ragazzo dato che quello sarebbe stato l’ultimo giorno in cui avrebbe visto Mattia e Samuele in quella scuola.
L’evento però non lo rattristava come un tempo perché il giorno in cui Mattia è entrato a casa di Stefano per la prima volta è stato anche il giorno in cui quei due si sono scambiati il numero di telefono.
Inizialmente non si scambiavano nessun tipo di messaggio; Stefano ha pensato a lungo di scrivergli, ma non sapeva mai il cosa dirgli, e così alla fine lasciava sempre perdere. È stato Mattia ad iniziare la loro conversazione online quindi, e lo ha fatto in modo piuttosto … inaspettato.
“Ti piacciono?” era il messaggio, seguito dalla foto di due nuove scarpe sportive.
“Fighe” è stata la risposta.
“Mai indossate. Voglio provarle su di te.”
“Ehm … davvero?”
“Sì. Vengo stasera.”
Mattia aveva mantenuto la parola, e dopo cena Stefano se lo era ritrovato sulla finestra; ai piedi aveva le solite scarpe con cui usciva, ma al collo aveva penzolanti le due scarpe appena comprate.
La loro chat è ripresa qualche giorno più avanti, sempre a causa di Mattia.
“Dammi un voto” aveva scritto, allegando una foto che si era fatto alla schiena nel mentre che fletteva i muscoli.
“WOW! Sei enorme!”
“Quello non è un voto.”
“8.”
“Perché 8?”
“Perché no? È un bel voto 8.”
“Ok. Sto arrivando. Te li faccio vedere dal vivo e mi darai un voto serio.”
“Hahahaha ok.”
E anche in quel caso il bambino aveva mantenuto la promessa. Era andato a casa di Stefano e si era davvero messo a flettere i muscoli delle spalle e delle braccia davanti al ragazzo, ma poi notando il suo disagio e imbarazzo si era rimesso la maglietta e i due si sono messi a giocare alla console fino a quando il bambino non è dovuto andare via.
“Tu disegni vero?” era stato il messaggio con cui Mattia aveva ripreso la chat una settimana dopo.
“Qualche volta.”
“I disegni nella tua camera sono carini.”
“Grazie.”
“Se vengo da te e mi metto in posa mi disegni?”
“In posa? Hahahaha ormai non si fa più così.”
“E come si fa?”
“Prima di tutto si usano le foto. E comunque io disegno con un AI, non disegno più a mano.”
“Voglio mettermi in posa lo stesso.”
“Mandami una tua foto e ti faccio un disegno.”
“Sto arrivando. Me la fai tu la foto.”
Quel giorno Stefano aveva imparato un’altra cosa piuttosto inquietante su Mattia, ovvero il fatto che nelle foto i suoi occhi apparivano rossi come succedeva ai cani. Il problema? Non c’era un singolo scatto in cui gli occhi del bambino apparivano normali, e Mattia gli ha spiegato che di solito le sue foto venivano editate e che quindi nessuno lo notava.
Stefano ha così indagato sulla questione facendogli domande riguardanti le sue iridi, ma Mattia non ha saputo dargli risposte concrete a riguardo, e la discussione è finita con un nulla di fatto.
“Guarda.” è stato il messaggio con cui Mattia ha proseguito la chat alcuni giorni dopo, seguito come al solito da una foto; questa volta nell’immagine si vedevano le sue gambe.
“Uhm … ok?”
“Oggi facciamo un gioco nuovo. Ti metto la testa tra le gambe e te la faccio esplodere.”
“Ehm … no?”
“Sì. Sto arrivando.”
Quando il bambino è poi arrivato Stefano si è ovviamente rifiutato di prendere parte a quel gioco, ma alla fine si è comunque ritrovato con la testa tra le sue cosce e il cranio in procinto di incrinarsi a causa della forte pressione scatenata dai muscoli del bambino.
<<Si chiama “headscissor”.>> aveva detto Mattia <<Imparerai ad amarlo.>>
Più passavano i giorni più Mattia prendeva confidenza nel spedire quei messaggi, ed ogni volta erano un avvertimento sul ciò che stava per accadere.
“Oggi piangi.” è stato il messaggio successivo a quello delle gambe, questa volta accompagnato dalla foto di un braccio di Mattia, braccio pieno di vene e muscoli.
“Perché?”
“Perché ho voglia di strangolarti.”
“Sto studiando per l’esame.”
“Studi dopo. Sto arrivando.”
E più passava il tempo, più i giochi proposti da Mattia diventavano … intensi.
“Guarda cos’ho.” ha scritto Mattia mandando la foto di alcune corde.
“No.”
“Sai già che ti succede oggi.”
“Sono fuori ora.”
“Ti aspetto in casa.”
“Ma che vuoi fare con quelle?”
“Secondo te?”
“Non lo so.”
“Lo scoprirai.”
Quando Stefano è rientrato in casa ha davvero trovato Mattia ad attenderlo in camera sua; era seduto sul letto e si stava leggendo un fumetto, e come al solito era entrato dalla finestra, finestra che in quegli ultimi giorni Stefano non chiudeva mai proprio per permettere al bambino di entrare tutte le volte che voleva.
Sapeva che quella era una cosa pericolosa da fare, eppure si fidava di Mattia. Poteva essere un bullo, ma non era un ladro, né un vandalo: il peggio che poteva accadergli era trovare la sua stanza completamente pulita e riordinata.
<<Tia!>> aveva comunque esclamato Stefano quando quel giorno lo aveva beccato sul suo letto <<Che ci fai qui?>>
Il bambino aveva alzato lo sguardo; intorno al collo aveva le corde che a cui aveva scattato la foto <<Lo sai.>> fu la risposta.
<<Beh … no. Non lo so. E non voglio saperlo. Devo studiare.>>
<<Studiare cosa?>>
<<Storia.>>
<<Argomento?>>
<<Seconda guerra mondiale.>>
<<Perfetto. Ti aiuto io.>>
<<No, non mi serve il tuo aiuto, grazie.>>
<<Sì invece.>> aveva detto Mattia mentre si alzava dal letto <<Ti interrogo, e se sbagli ti punisco. Che ne dici?>>
<<No.>>
<<Io penso di sì.>>
<<Beh, pensi male.>>
Stefano quel giorno non voleva davvero assecondarlo perché sapeva cosa voleva fare Mattia, voleva legarlo, e a lui quelle cose proprio non piacevano. Ma il bambino era testardo, quindi ha preso in mano la corda e proprio come fanno i cowboy nei film l’ha lanciata ai piedi di Stefano catturandogli una caviglia e poi facendolo cadere a terra.
<<Mattia!>> aveva esclamato Stefano quasi con shock <<Sei impazzito?>>
Il bambino si era messo a ridere e lo aveva trascinato a sé di peso <<No.>> è stata la risposta.
<<I miei sono a casa! Se mi hanno sentito sei ne guai, lo sai?>>
<<Non è vero, non sono a casa.>>
<<Sì invece!>>
<<Non mentire. Sai che non mi piace.>>
Detto quello Mattia lo aveva legato come un salame contro la sua volontà, imbavagliato usando i suoi calzini e del nastro adesivo, e una volta completamente soggiogato aveva preso in mano il libro di storia di Stefano e sedendosi affianco a lui lo aveva aperto.
<<Allora, ecco le regole. Io ti faccio una domanda e tu devi rispondere con la testa “sì” oppure “no”. Se sbagli ti do un calcio. Se non sbagli ti do un punto, e quando arrivi a cinquanta ti libero. Tutto chiaro?>>
Stefano si era agitato in segno di protesta, ma questo gli aveva solamente fatto guadagnare il suo primo calcio.
L’intero “gioco” è durato circa un’ora, e quando Stefano è stato finalmente liberato si sentiva letteralmente a pezzi con ogni singola parte del suo corpo che bruciava di dolore.
<<Sei bello quando soffri.>> aveva ridacchiato il bambino mentre lo slegava.
Le visite di Mattia si sono fatte più frequenti da quel giorno in poi, perché aveva capito che Stefano era disposto ad assecondare tutti i suoi capricci, anche quelli più particolari. Stefano dal canto suo non poteva davvero opporsi al bambino, perché ogni volta che ci provava veniva semplicemente sottomesso con la forza.
Il ragazzo volendo poteva evitare tutte quelle esperienze chiudendo la finestra della sua camera oppure denunciando le effrazioni del bambino ai suoi genitori, ma non lo faceva. Non voleva farlo. E questo ha portato Mattia non solo ad aumentare le visite, ma anche ad aumentare la brutalità dei suoi “giochi”.
Una delle visite peggiori del bambino è iniziata con lui che spediva un selfie dove fletteva i bicipiti ed il petto nudo davanti ad uno specchio.
“Vuoi un voto?” aveva scritto in risposta Stefano.
“No. Sono solo pronto a pestarti a sangue.”
“Cosa?”
“Sto arrivando.”
Quel giorno Mattia aveva fatto esattamente ciò che aveva scritto. Era entrato in camera con un passamontagna sul volto, si era messo a petto nudo per mettere in bella mostra i muscoli del suo corpo, e ignorando le proteste e le suppliche del ragazzo lo aveva sottomesso con una presa di strangolamento, legato, imbavagliato, messo dentro all’armadio e poi preso a pugni e calci come se fosse un sacco da boxe per circa due ore.
I colpi erano potenti e perfettamente calcolati, pensati per fare male ma non fare troppi danni. Malgrado ciò Stefano aveva sofferto moltissimo e pianto copiosamente durante il pestaggio,e una volta liberato non ha neanche avuto la forza per parlare ma solo di vomitare; Mattia lo aveva lasciato sul letto con il naso e qualche altro osso rotto e una marea di lividi, ma prima di uscire dalla finestra si era tolto il passamontagna e gli aveva inserito in bocca una caramella verde.
Stefano si era svegliato perfettamente in salute il giorno dopo, ma il ricordo del brutale pestaggio che aveva subito è stato più che sufficiente a farlo stare ancora male; i giorni successivi a quella visita il ragazzo aveva completamente evitato Mattia nel giardino della scuola, passando il tempo principalmente con Sara ed Elena; malgrado ciò teneva sempre la finestra della sua stanza aperta.
Dopo circa una settimana, Mattia si è fatto risentire.
“Geloso?” era il messaggio, seguito dalla foto di una persona completamente coperta di lividi e sangue sdraiata su un marciapiede … Stefano è rimasto inorridito da quell’immagine.
“Chi è lui?”
“Un tipo che ha fatto arrabbiare mia sorella.”
“COSA?”
Gli è arrivata un’altra foto, questa volta un selfie di Mattia fatto dall’alto verso il basso che teneva la faccia dello stesso individuo di prima sotto a un suo piede.
“Annichilito completamente. Non ho ancora finito con lui comunque. Vuoi un video?”
“NO! Tia a me non piacciono queste cose.”
“Va bene.”
In seguito a quel messaggio il cuore di Stefano aveva preso a battere forte. Non sentiva il bambino da una settimana, e il solo tornare a scrivergli lo stava emozionando.
Allo stesso tempo Stefano aveva anche paura però. Chi era quella persona? Cosa le era successo? Mattia ha davvero pestato a sangue un essere umano fino a quel punto? Come è stato possibile? Queste erano le domande che gli circolavano in testa.
Più tempo passava e più quel piccoletto sembrava davvero pazzo e pericoloso … forse averlo come amico non era stata la migliore delle scelte.
Malgrado ciò Stefano si ostinava a tenere la finestra della propria camera aperta, e quella stessa notte questa sua scelta ha ripagato perché il bambino è andato a trovarlo senza preavviso, trovandolo sul letto in procinto di mettersi a dormire; Stefano per poco non aveva urlato dalla paura, non si aspettava affatto quella visita.
<<Tia! Che … che ci fai qui a quest’ora?>> aveva domandato con ovvia paura nel suo tono di voce: se Mattia avesse voluto lo avrebbe potuto nuovamente legare e pestare come la volta scorsa, o peggio. L’unico modo per fermarlo sarebbe stato urlare e chiamare in aiuto i propri genitori, cosa che però non voleva fare perché aveva paura che farlo avrebbe rotto la loro amicizia.
<<Questi giorni mi hai evitato.>> aveva risposto il bambino <<Stai bene?>>
<<S … sì. È solo che … ehm … avevo bisogno di tempo.>>
<<Tempo per fare cosa?>>
<<Pensare.>>
<<A cosa?>>
<<A … al fatto che non so se voglio continuare.>>
<<Ma cosa?>>
<<Questa cosa.>>
<<Non capisco.>>
<<L’ultima volta che sei venuto mi hai spaventato a morte. Ti avevo detto di non farlo, però mi hai comunque legato e picchiato.>>
<<Oh … è perché sei bello quando sei spaventato. E anche quando piangi.>>
<<S-sì, beh, io non so se voglio continuare. A me non piace piangere.>>
<<Ma a me piace farti piangere.>>
<<T-Tia … gli amici non si fanno piangere.>>
Il bambino è rimasto in silenzio per un po’ in seguito a quelle parole, poi ha tirato fuori dalla sua tasca un sacchetto di plastica con dentro qualcosa di piccolo e bianco.
<<Ti ho portato un regalo.>> aveva detto a quel punto.
<<Cosa … sono?>> aveva chiesto Stefano, anche se già aveva capito di cosa si trattasse.
<<Denti.>>
<<Di chi?>>
<<Del tipo a cui ho fatto la foto prima. Ricordi?>>
<<C … cosa? Quello con la faccia gonfia?>>
<<Sì. Gli ho strappato un po’ di denti, e voglio regalarteli.>> aveva detto il bambino appoggiando il sacchetto sul comodino del ragazzo <<Li ho già lavati e lucidati. Sono davvero belli.>>
Stefano aveva osservato il sacchetto con orrore <<Lavati …? Tia ma … che …?>>
<<È un trofeo.>>
<<Trofeo?>>
<<Sì. Ne ho una collezione intera a casa, e visto che questi giorni mi stavi evitando ho pensato di, uh, farti un regalo.>>
Stefano era rimasto paralizzato sul posto nel sentire quelle parole. “Collezione”? “Trofeo”? “Regalo”? Quel bambino non aveva alcun senso, anzi iniziava seriamente a fare paura.
<<Stefano? Tutto bene?>> aveva chiesto Mattia dopo il prolungato silenzio dell’amico.
<<Ehm … ecco … io …. senti, sono stanco. È meglio che vai.>>
<<Sicuro?>>
<<Sì.>>
<<Uhm …>> Mattia a quel punto era avanzato fino alla libreria di Stefano, aveva preso un fumetto dopodiché si è buttato sul letto dell’amico e lì si è messo seduto a gambe incrociate davanti a lui.
<<Che … che stai facendo?>>
<<Dormo qui oggi.>> è stata la risposta <<Prendi. Leggimi questo per farmi addormentare.>> aveva poi aggiunto, allungandogli il fumetto che aveva preso dalla libreria.
Stefano non aveva reagito subito a quelle parole, si era messo ad elaborare la situazione: come al solito Mattia stava facendo di testa sua, e come al solito il ragazzo si sentiva impotente perché l’unico modo per mandare via il bambino era quello di chiamare in aiuto i propri genitori, cosa che però non voleva fare.
Ha riflettuto in silenzio per qualche attimo, e nel mentre il suo sguardo non ha potuto fare a meno di concentrarsi sul corpo del bambino, che nei suoi vestiti estivi era semplicemente stupendo; i muscoli delle braccia e delle gambe erano come al solito incredibili, ma la parte che più lo incantava rimaneva il volto che godeva di una bellezza fanciullesca, regale e innocente … sembrava un angelo sceso dal cielo, o forse un demone considerando che ogni volta che distoglieva lo sguardo i suoi occhi diventavano rossi.
La riflessione di Stefano è durata fino a quando non è subentrato l’odore corporeo, e a quel punto il ragazzo si è maledetto da solo perché sapeva che anche quella volta avrebbe avuto enormi difficoltà ad opporsi ai suoi capricci …
Comunque ci ha provato.
<<Non puoi dormire qua, domani come farai con la scuola?>>
<<Mi alzerò prima di te, non preoccuparti. Me ne andrò via da qui presto, e non mi vedrà nessuno.>>
<<Ma … ma perché vuoi dormire qui?>>
<<Voglio dormire con te, e voglio che mi leggi quel fumetto.>>
<<Puoi leggerlo da solo.>>
<<Voglio che lo fai tu.>>
<<Posso leggertelo domani pomeriggio.>>
<<Voglio addormentarmi mentre lo leggi ora.>>
<<E come fai ad addormentarti se devi vedere le immagini?>>
<<Descrivile.>>
Stefano aveva sospirato con esasperazione <<Sono stanco Tia …>>
<<Prima lo leggi prima vai a dormire.>>
<<S … senti, non puoi fare sempre come ti pare. Non è giusto. Ho sonno e vorrei dormire.>>
Mattia non aveva risposto subito a quelle parole, si stava limitando a guardare Stefano dritto negli occhi con un volto privo di espressività; Stefano aveva deciso di sorreggere il suo sguardo il più a lungo possibile, non voleva arrendersi facilmente quella volta.
Dopo circa un minuto Mattia aveva rotto il silenzio <<Posso costringerti se voglio.>>
<<Lo so.>>
<<Vuoi essere costretto?>>
<<No.>>
In seguito a quella risposta Mattia è tornato silenzioso ma i suoi muscoli si sono pericolosamente tesi; non appena Stefano se ne è reso conto ha iniziato a sudare freddo, perché il corpo del bambino sembrava pronto a saltargli addosso al primo movimento sbagliato.
Il volto di Mattia però non mostrava segni di ostilità, al contrario le sue pupille si erano allargate e la sua faccia aveva assunto un innocente espressione di desiderio; si stava mordendo il labbro inferiore mentre guardava Stefano con la stessa espressione che un bambino affamato avrebbe nel guardare il suo gelato preferito.
Il ragazzo era paralizzato a causa della tensione, ma ha comunque retto lo sguardo famelico del bambino fino a quando non ha iniziato a trattenere addirittura il respiro.
A quel punto Mattia ha sorriso <<Sei bello quando hai paura.>> sono state le sue parole.
Stefano non aveva risposto perché ancora una volta non sapeva cosa dire, si è limitato a deglutire e ad attendere la mossa successiva del bambino, che fortunatamente non è stata violenta o improvvisa.
Mattia infatti si è rilassato, e appoggiando il fumetto sul comodino si è sdraiato sul letto <<Buonanotte.>> sono state le sue ultime parole quel giorno.
Stefano inizialmente è rimasto fermo senza sapere se dover parlare o meno, e alla fine si è sdraiato a sua volta in silenzio e immerso completamente nell’odore di Mattia ha chiuso gli occhi e si è addormentato; al suo risveglio il bambino non c’era più.
Da quel giorno le cose sono cambiate. Stefano aveva notato che Mattia non passava più a trovarlo e non gli scriveva più al telefono anche se i due erano tornati a parlare in giardino, quindi dopo una settimana e mezzo di attesa ha deciso di fare lui stesso il primo passo.
Un pomeriggio ha scattato una foto al fumetto che Mattia voleva farsi leggere e gliel’ha mandata.
“Vogliamo leggerlo?” era il messaggio allegato alla foto.
Il bambino non gli ha risposto il pomeriggio, e neanche la sera, ma dopo cena Stefano se lo è ritrovato in camera senza alcun preavviso e hanno letto quel fumetto insieme fino a tarda notte.
I messaggi tra i due erano quindi ripresi. Se era Mattia a scrivere per primo, si facevano i suoi “giochi”; se era Stefano invece, di solito il tempo veniva utilizzato su fumetti e videogiochi.
A causa di tutti quegli eventi Stefano non ha sofferto molto il fatto di non poter passare l’ultima pausa pranzo con Mattia. Anzi non vedeva l’ora che la scuola finisse così da avere molto più tempo da spendere con lui durante le vacanze estive.
[La storia ancora non è finita, ma questo capitolo è ancora bloccato; segui i creatori di questa storia e inviagli un feedback per fargli capire se sta proseguendo bene o potrebbe proseguire meglio]
Questa storia appartiene all’Archivio Verde; se ti è piaciuta, ti consigliamo di dare un’occhiata alle altre storie dello stesso archivio.
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