Fili rossi (speciale 1)

È quasi mezzanotte quando arriva.
Io mi sono già fatto la doccia, e sono in pigiama; la casa è silenziosa perché sono tutti a dormire, tranne mia sorella che probabilmente dormirà fuori anche oggi.
Sono davanti al computer impegnato a completare la missione di un videogioco, e mi rendo conto del suo arrivo solo a causa dell’improvviso (seppur quasi impercettibile) cambio di aria.
Mi volto verso la finestra e lo vedo: indossa una maglietta a maniche corte, dei pantaloncini cargo, e due incredibili sneakers rosse e nere; intravedo subito dei calzini corti e sportivi che gli arrivano fino alle caviglie, poi la mia attenzione si sposta sui guanti senza dita che si è messo sulle mani, sul cappellino da baseball che ha in testa, e sullo zaino che si tiene sulle spalle.
<<Ciao Mattia.>> lo saluto io come se niente fosse, abituato a trovarmelo seduto sulla finestra la notte.
<<Un minuto e diciassette.>> è la sua risposta.
<<Uh?>>
<<Ci hai messo un minuto e diciassette a notare che ero qui.>> dice lui, saltando dentro la stanza; non ha quasi fatto rumore nel toccare terra, e ancora non mi spiego il come faccia a essere così silenzioso quando si muove <<Stai migliorando.>>
Io faccio uno smorfia e lo osservo mentre si toglie lo zaino dalle spalle e lo appoggia sul pavimento; lo apre, e da lì tira fuori un altro paio di scarpe e … del nastro adesivo?
<<Cosa ci vuoi fare con quello?>> domando io, indicando il nastro.
Lui fa spallucce <<Non lo so …>> lo appoggia sul mio letto, poi si gira verso di me <<però ho voglia di provare un po’ di cose oggi. A partire da queste.>> e prende in mano le scarpe che ha tirato fuori dallo zaino.
Sono nuove di zecche, scarpe sportive nere ma anche eleganti; le appoggia sulla scrivania, sopra la tastiera del mio computer, e mi lancia uno sguardo eloquente seguito da un sorrisetto malizioso.
<<Ti piacciono?>>
Io non so come rispondere. Le scarpe sono di sicuro molto belle, però … non c’è niente in esse che mi attrae particolarmente. Per me sono solo scarpe.
<<Carine.>> ho detto io alla fine <<Sono nuove?>>
<<Sì. Le ho comprate solo per te.>> ha continuato a dire lui <<Ti va di provarle?>>
“Provarle” … so bene cosa intende con quelle parole.
Lo guardo dritto negli occhi; la luce dello schermo li fa brillare di un’innaturale bagliore rosso.
<<Oggi tocca a te decidere cosa fare.>> è la mia risposta <<Quindi se vuoi “provarle” … fai pure.>>
<<Per quanto tempo?>>
Io esito un attimo prima di rispondere; Mattia non è un bambino normale, avere a che fare con lui è molto pericoloso … devo stare molto attento a quello che dico.
<<Fino … ehm … finché non ti stanchi.>>
Lui inclina la testa leggermente di lato <<Non mi stanco mai.>> dice <<Dammi un’ora.>>
<<Uhm … Tre ore vanno bene?>>
Lui ci riflette un attimo, poi allarga la mano destra davanti alla mia faccia dicendo: <<Cinque.>>
Un brivido percorre il mio intero corpo. Cinque ore sono tante. Tantissime anzi.
<<Non so se riesco a resistere così tanto.>> ribatto.
<<Se non ci riesci, è meglio.>> risponde lui fissandomi dritto negli occhi <<Mi diverto di più quando piangi e provi a fermarmi.>>
Nel sentire quelle parole sento un bruciante formicolio alle gambe … se Mattia non fosse così dannatamente bello e non avesse questo viso da piccolo angioletto innocente, mi farebbe davvero paura.
<<I … io non sono sicuro che …>>
<<Va bene, ho un’idea.>> dice lui, dopodiché sposta le scarpe dalla mia tastiera e si mette seduto affianco a me, sulla sedia che avevo preparato per lui; appoggia i piedi sul tavolo e indica lo schermo del mio computer <<Scegli un gioco. Qualcosa che possiamo giocare in due, io contro te.>>
<<Vuoi fare un 1v1 e chi vince decide?>> intuisco io.
<<Più o meno.>>
Sospirando scelgo uno sparatutto, ma non il videogioco in sé bensì una parte del gioco dedicata all’addestramento della mira.
<<Ecco, il gioco è semplice.>> inizio a spiegare <<Ci sono cinquanta palline, e volano velocissime in direzioni casuali. Bisogna distruggerle tutte nel minor tempo possibile. Chi ci mette di meno, vince. Va bene?>>
Lui ha sorriso con arroganza <<Va bene. E ora scegli un esercizio.>>
<<E … esercizio?>> chiedo io, confuso.
<<Sì. Squat o salto della corda?>>
Io rimango confuso da quella domanda … cosa sta cercando di dirmi? Perché dovrei fare questa scelta?
<<Veloce.>> mi sprona lui <<Mi dai fastidio quando balbetti.>>
Io degluisco <<Squat.>> è la mia risposta.
Lui annuisce <<Bene. Allora se vinci tu, farò solo cinquanta squat.>>
<<Solo cinquanta squat …?>>
<<Se vinco io invece, farò cento squat e cento salti con la corda.>> aggiunge.
<<Uhm … capito. Ma perché dovresti fare cento squat se vinci tu? Non dovrebbe essere il contrario?>>
<<Non ci pensare per ora.>> è la sua risposta, dopodiché indica lo schermo del computer <<Pensa a sparare piuttosto.>>
Ho dato il via all’addestramento e nell’arco di soli quattro minuti e 25 secondi ho distrutto tutte le palline.
<<Tutto qui?>> è stata la sua reazione <<È questa la sfida?>>
<<S … sì.>>
<<Va bene. Alzati, fammi provare.>>
Io sospiro e gli lascio il mio posto; già so che perderò, non ho mai vinto contro di lui in un gioco … e credo che a parte suo fratello nessuno che conosco lo ha mai fatto.
Do il via all’addestramento non appena mi da la conferma di voler iniziare, e … beh, le cinquanta palline scompaiono nell’arco di 25 secondi.
Mattia si volta a guardarmi <<Ho vinto.>> dice <<Ora togliti la maglietta e mettiti per terra. Giochiamo per davvero.>>
Io sono ancora un po’ confuso, non capisco bene al cosa sia servito fare questa sfida, però per ora decido di smettere di fare domande e assecondarlo.
Mi assicuro che la porta della camera sia chiusa a chiave, non voglio che i miei genitori o mia sorella entrino all’improvviso nel bel mezzo del nostro “gioco” … dopodiché faccio come ha detto: mi tolgo la parte superiore del pigiama e mi sdraio sul pavimento della stanza.
Osservo Mattia dal basso mentre mi cammina intorno; concentro la mia attenzione sulle sue scarpe, sui calzettini neri che sporgono da lì, sulla bellezza della forma rigonfia dei suoi polpacci … e nel mentre che anche lui si prepara a “giocare”, mi domando ancora una volta il come io abbia fatto a finire in questa situazione.
Ho solo quattordici anni, e lui ne ha quasi dodici. Non dovremmo essere qui a fare queste cose, alla nostra età dovremmo giocare ai videogiochi e leggere i fumetti, cosa che in effetti facciamo quando tocca a me decidere il come passare le serate … ma quando è lui a decidere finiamo sempre col fare questo tipo di “giochi” qui.
Ma perché lo assecondo? Potrei semplicemente rifiuarmi … eppure finisco sempre per dirgli di sì.
Non so neanche se mi piace o no quello che facciamo. È doloroso stare sotto di lui, ed essere usato come tappato o trattato come sacco da boxe fa davvero schifo … però allo stesso tempo … non lo so. Non capisco i miei stessi pensieri.
Sono confuso.
Mattia nel frattempo si è tolto la maglietta a sua volta, e io rimango ancora una volta stupito dinanzi alla sua fisicità; un normale bambino di 11/12 anni apparirebbe secco come un ramo, lui invece è tremendamente robusto per uno della sua età, scolpito e definito come un bodybuilder in miniatura.
Sembra finto delle volte, finto come un disegno o una statua esageratamnte perfetta … ma invece è vero.
Ora si è anche messo una bandana che gli copre metà del viso, cosa che unita al cappellino lo fa sembrare il membro di una banda di teppisti.
<<Pronto?>> mi chiede, guardandomi negli occhi.
<<S … sì.>>
Lui si sistema i mezzi guanti, dopodiché mi sale sopra.
Lo fa con un singolo piede inizialmente, usando il mio ventre come appoggio; la durezza delle sue scarpe si fa subito sentire, ma almeno per ora non faccio fatica a reggerlo, perché per quanto possa essere muscoloso rimane sempre un bambino e quindi è anche molto leggero.
Quanto peserà? Tecnicamente dovrebbe pesare sui 40kg, ma considerando i muscoli direi 50kg … Forse raggiunge i 60 volendo esagerare. Ma non di più.
Rimane con un piede sopra di me a lungo, divertendosi nel posare e flettere i muscoli di tanto in tanto; io lo osservo in silenzio nel mentre che concentro le energie del mio corpo sul contrarre i muscoli della pancia.
Dopo due o tre minuti cambia piede, continuando a far pressione nello stesso identico punto di prima; sta già diventando più difficile reggere il suo peso. È lui che diventa più pesante o sono io che mi sto indebolendo?
Ad un certo punto si mette sulla punta del piede, cosa che amplifica così tanto la pressione che mi sfugge un piccolo urletto di dolore.
<<Piano.>> mi ha subito ammunito lui <<I tuoi genitori stanno dormendo.>>
<<L … lo so.>> rispondo io a denti stretti.
<<Allora non urlare. Non ho neanche iniziato, ti sto solo riscaldando.>>
Rimane in punta di piedi per un po’, poi decidere di appoggiare entrambi i piedi su di me, uno sul petto e l’altro sempre sul ventre; ora che il suo peso è distribuito in questo modo riesco a tornare a respirare.
Rimane lì sopra per qualche secondo, poi scende e si dirige verso il suo zaino dal quale tira fuori una piccola corda da salto; ora capisco cosa intendeva dire con “squat” e “salti alla corda”.
Torna sopra di me, e una volta lì mi guarda dritto negli occhi.
<<Avevamo detto cento salti, giusto?>>
Io deglutisco <<G … già.>>
<<Li devi contare.>>
<<Cosa?>>
<<Hai capito. Contali. Se non sento il numero continuo a saltare finché non lo dici. E devi anche stare fermo. Se cado o tocco il pavimento, ricomincio da capo. Quindi non devi muoverti e non devi farmi perdere l’equilibrio.>>
Detto questo unisce i piedi e fa il primo saltello, facendo passare la corda lì sotto; non sembra terribile o dolorosa come azione, solo un po’ fastidiosa e stressante considerando che salta a piedi uniti, però è decisamente sopportabile … almeno per ora.
<<Uno.>> dico io.
Lui salta di nuovo; come al solito ha una precisione disumana, riesce ad atterrare nello stesso identico punto e lo fa senza neanche vacillare o mostrare alcun segno di difficoltà.
<<Due.>>
Salta ancora; devo solo abituare il mio corpo al suo peso e al suo ritmo, a quel punto sarà facile sopportare questi cento saltelli.
<<Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette …>>
Quando arrivo a dieci, lui aumenta la velocità; il momento di pausa tra un saltello e l’altro si assottiglia, mentre cerco di irrigidire il più possibile il ventre per rendergli più facile il compito.
Arrivato a venti, inizio a fare fatica nel stargli dietro con i numeri; non solo salta troppo velocemente, ma parlare si fa sempre più difficile.
Arrivato a trenta, inizio a essere così lento nel contare che lui ha tutto il tempo di fare uno o due saltelli in più tra un numero e l’altro.
A fatica riesco a contare fino a quaranta; sto trattenendo a stento le lacrime, ma posso ancora continuare.
A cinquanta, l’unica cosa che mi fa andare avanti è la consapevolezza che siamo a metà percorso.
A sessanta la situazione diventa infernale. Il ventre mi brucia da morire, ho tutti i muscoli del corpo contratti, non riesco più a respirare a causa del dolore … addirittura le ossa iniziano a farmi terribilmente male, per qualche motivo.
Conto, ma non più seguendo i suoi salti … ormai vado avanti in base alle mie forze, cose che comporta il subire fino a cinque o più saltelli in più tra un numero ed un altro; lui diventa sempre più veloce nel saltare, io invece divento sempre più lento nel parlare.
Vorrei fermarmi.
A settanta sto piangendo; ho le mani chiuse a pugno, le gambe che si agitano e tremano … ma devo stare fermo, se cade ricomincia da capo, e conoscendolo so già che non esiterebbe a ripetere questi 100 salti. Una persona normale non lo farebbe mai …
Ma lui non è normale.
A ottanta saltelli la vista inizia ad annebbiarsi; sto per svenire? O sono solo stanco? Apro la bocca ma non so se escono suoni da lì … ho il dubbio che la mia voce si senta solo nella mia testa.
A novanta l’unica cosa che mi manda avanti è la consapevolezza di essere arrivati alla fine.
<<Novantacinque … novantasei …novantasette … novantotto … novantanove … cento.>>
Mattia si ferma.
Con la benda sul volto non riesco a capire che espressione stia facendo, ma scommetto che sta sorridendo compiaciuto.
<<Bravo.>> mi ha detto <<Ora gli squat … giusto?>>
Io scuoto leggermente la tesa <<P … pausa …>>
<<Pausa … uh?>> lui sembra rifletterci un attimo, poi scende da sopra di me dandomi un attimo di sollievo <<Hai qualcosa di buono da bere in cucina?>>
<<C … credo di … sì.>>
Lui a questo scende da sopra di me e senza troppa esitazione esce fuori dalla stanza, lasciandomi sul pavimento a riprendere fiato.
Quando torna ha in mano una bottiglietta di thè freddo; si mette seduto sopra al mio petto come se niente fosse, prende in mano il telefono, si mette le cuffie e inizia a bere.
Ogni tanto fa bere qualche sorso anche a me.
Finita la bottiglietta di thè si è tolto le scarpe e le ha cambiate con quelle nuove, dopodiché si è rimesso sopra di me.
<<Come prima, tu conti ogni squat che faccio fino a cento. Se non sento il numero non vado avanti. Capito?>>
<<Capito.>>
Le squat sarebbero state più facili da sopportare rispetto ai saltelli, se non fosse stato per le sue nuove scarpe; erano fastidiosamente dure, molto più di quelle di prima … ho iniziato a tremare dal dolore ancor prima di raggiungere le trenta squat.
A cinquanta chiedo necessariamente una pausa, non posso continuare, sono davvero esausto.
<<No.>>
<<Ti prego …>>
<<Le regole sono regole. La prossima volta vinci.>>
<<Non … non riesco più a contare.>>
<<Peggio per te. Se non conti non mi muovo.>>
E non sta mentendo. Attualmente è accovacciato su di me, in attesa che io pronunci il prossimo numero; finché non lo dirò, non si alzerà per continuare la serie di squat.
Ora come ora, anche se volessi, non potrei fermarlo. Non ho né le energie di togliermelo di dosso, né la forza di urlare aiuto … e poi, ad essere sinceri, una parte di me non vuole toglierselo di dosso in quel modo, preferirebbe svenire sotto al suo peso piuttosto.
È vero che il mio corpo sta chiedendo pietà, ma non sono troppo preoccupato … Mattia mi ha fatto di peggio dopotutto, e ne sono sempre uscito illeso … quindi alla fine mi faccio forza e torno a contare.
Lentamente, ma lo faccio.
Ad ogni pausa che prendo lui rimane accovacciato, in attesa che torni a contare; ogni tanto prende il telefono in mano e si mette a leggere o scrivere messaggi.
Io nel frattempo fatico, ogni numero che pronuncio è pura sofferenza.
Arrivo a sessanta. Poi a settanta. A ottanta. Novanta. E alla fine …
<<C … c … ce … cen …>>
<<Eh? Non sento.>>
<<Cento.>>
Lui salta giù dal mio corpo, dandomi finalmente un po’ di respiro.
Sono così esausto che anche lo stare sdraiato a terra è faticoso; sento dolori sulla schiena, sul sedere e sulla pancia; braccia e gambe stanno ancora tremando, così come la mia vista; quando tossisco tutte le ossa mi fanno male.
Mentre riprendo lentamente e debolmente fiato, lui mi osserva in silenzio; è in piedi affianco a me, le sue scarpe sono a un soffio del mio volto.
Mi guarda senza dire o fare nulla … ogni tanto prende il telefono in mano, ma poi lo riposa subito; il suo sguardo è affilato e penetrante, sembra quasi mi stia ispezionando.
Dopo un po’ allunga la mano e la apre verso di me; inizia a chiuderla a pugno, dito dopo dito, facendomi capire che quello era un timer.
Arrivati a zero si sfila le scarpe rimanendo solo coi calzini neri, e senza perdere altro tempo sale sul mio petto; essendo una zona del corpo che ancora non ha toccato la sua presenza qui sopra non mi causa grandi fastidi, però già da subito mi metto a tossire a causa della pressione e della fatica fatta in precedenza.
Devo dire una cosa però … i suoi piedi caldi, seppur un po’ sudati, mi danno una sensazione migliore rispetto a quella che mi davano le sue fredde scarpe; sento distintamente ogni suo singolo dito appoggiato sulla mia pelle, e devo dire che … mi piace.
Fa male, ma mi piace.
Lui nel frattempo tira fuori il telefono, lo guarda come se stesse rispondendo ad un messaggio, dopodiché sposta lo sguardo su di me.
<<Che osso è questo?>> chiede, cogliendomi alla sprovvista.
<<F-fammelo vedere.>> dico io, pensando che stia parlando di un osso visto sul suo telefono.
<<Non lo devi vedere.>> risponde invece lui, aumentando la pressione sul mio petto <<Dimmi che osso è … oppure lo colpisco.>>
Io deglutisco; credo di capire che cosa stia dicendo.
<<Ehm … questo è il … ehm … petto?>>
<<Petto?>> lui mi da un rapido colpo con il tallone, facendomi vibrare dal dolore <<Riprova.>>
<<C … costole?>>
<<No. Si chiama sterno.>> e mi colpisce di nuovo, questa volta più forte <<Riproviamo.>> allunga il piede verso il mio volto e mi appoggia le dita sulla guancia, delicatamente <<Che osso è questo?>> domanda.
<<Uh … g … guancia …?>>
Mi da un calcio in faccia; non fortissimo, ma con abbastanza energia da farmi rimpiangere quella risposta.
<<Riprova.>>
<<N … non lo so …>>
Mi arriva un altro guancia, questa volta abbastanza forte; trema ogni parte del mio cranio all’impatto.
<<Zigomo.>> dice lui, poi sposta il piede appena sotto alla mia bocca <<E questo come si chiama?>>
<<M … mascella!>> esclamo, spaventato dall’idea di essere colpito lì; già me l’aveva dislocata una volta la mascella, ed era un dolore che non volevo mai più provare.
Lui annuisce piano <<Bravo.>> porta le dita dei pidi sul mio collo <<E quest’osso? Come si chiama?>>
<<G … ehm … p-pomo d’adamo?>>
Lui si blocca un attimo a riflettere sulla mia risposta, da un rapido sguardo al telefono, dopodiché sposta il piede in alto, portando le sue dita dritto sul mio naso; l’odore dei suoi piedi lo conosco benissimo, e come al solito lo trovo stranamente piacevole e leggermente piccante.
<<Che osso è questo?>>
<<Naso.>>
Con delicatezza striscia le sua dita fino alla testa <<E questo?>>
<<F … fronte?>>
Non so se la risposta è giusta o sbagliata, so solo che lui appoggia per intero il suo piede sulla mia faccia e sposta lì il suo intero peso; sento la nuca venire brutalmente pressata tra lui e il pavimento, e la situazione peggiora quando anche l’altro piede mi viene calato sul volto.
Lui ora è interamente sopra di me, e fa in modo che da uno spiraglio possa vederlo così da flettere i muscoli e posare mentre lo guardo da sotto ai suoi piedi, impotente e sofferente.
Quando la pressione inizia ad essere pericolosamente insopportabile muovo le braccia verso le sue caviglie per alleggerire un po’ il carico, ma la sua reazione è istantanea.
<<Stai fermo.>> mi dice con voce autoritaria, bloccando così ogni mio movimento.
Rimango qui sotto a lungo, riflettendo sul fatto che quando ci si diverte il tempo sembra scorrere velocemente laddove quando si soffre sembra molto più lento … e ora? Il tempo è lento o veloce? Io mi sto divertendo o sto soffrendo?
Torno a guardare Mattia per cercare una risposta a questa domanda; ora ha le mani in tasca, e mi sta fissando dritto negli occhi.
Lui si sta decisamente divertendo. Anche se adesso sembra avere un’espressione dura e seria, sono certo che sotto la benda che gli copre la bocca si nasconde un sorrisetto sadico e compiaciuto; a lui piace da morire ciò che mi sta facendo, e più è evidente la mia sofferenza più lui si diverte.
Immagino che per lui queste lunghe e interminabili sessioni siano in realtà troppo corte e veloci. Se fosse per lui rimarrebbe a saltare sopra di me per ore … per giorni, anzi.
Ricordo che un giorno mi disse che una delle sue fantasie più “strane” è quella di avere degli “oggetti umani” in giro per casa … persone su cui camminare e usare come tappeti, o magari su cui sedersi e usare come sedie. In poche parole lui non si stancherebbe mai di starmi sopra.
Io non lo capisco. È un feticismo il suo? Alla sua età è possibile sviluppare feticismi? Non saprei … forse è solo sadico. E se lui è sadico allora io devo essere masochista … giusto?
Quindi immagino che anche io, adesso, mi stia divertendo.
Ma allora perché il tempo scorre così lento?
Sento che la mia testa sta per implodere; il peso di quel bambino sta diventando insopportabile … quando si decide a scendere?
Torno a muovere le mani in direzione delle sue caviglie.
<<Fermo.>> mi dice nuovamente lui <<Più ti muovi, più tempo rimarrò qui.>>
Mi fermo nuovamente ma la situazione si sta facendo preoccupante; ho seriamente paura che il cranio mi si possa frantumare sotto al suo peso.
E parlando di peso … se prima pesava 40kg, ora ne pesa come minimo 70kg. Strano a dirlo, ma questo bambino cambia di peso. Continuamente. Le prime volte che ci ho fatto caso pensavo di essere pazzo io, ma ormai ne sono certo. Il suo peso è variabile, e ora ha superato i 60kg.
O forse sono solo io a essere stanco e addolorato?
No, non ho dubbi. È aumentato di peso. Lo fa sempre. Alcune volte è leggero, così leggero che posso sollevarlo senza problemi … altre volte è pesante, così pesante che sembra un macigno.
E ora è decisamente pesante.
Troppo pesante.
Non resisto.
Inizio ad agitarmi, porto le mani alle sue caviglie e provo a spostarlo, ma niente … non si muove, è inchiodato sopra di me.
<<Se continui ti farò male. Stai fermo. Non sto scherzando.>>
Cerco di parlare, ma non posso neanche muovere le labbra.
I suoi piedi sono come appiccicati al mio volto, stanno sprofondando nelle mie ossa.
<<Fermati.>> dice nuovamente lui, con calma e pazienza; ma io non mi fermo, non ci riesco, questa volta sono sicuro che le cose finiranno davvero male <<Fermati.>> ripete nuovamente lui <<Peggiori la situazione così, fidati. Mi fai solo venire voglia di continuare. Stai fermo. Ho quasi finito.>>
Le sue gambe sono così dure che sembrano due pezzi di metallo.
Ormai non ci sono dubbi, non pesa più 60kg. Quanti ne peserà ora? 80?
Dannazione.
Sto per morire.
Ogni parte del mio cranio sta vibrando dal dolore.
Sto esplodendo.
Ho paura.
Mi fa tutto troppo male.
<<Fermati.>>
Aiuto!
Non si toglie!
È troppo pesante!
Troppo …